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Il progetto

Le Mostre Impossibili presentano, in un unico spazio espositivo, l’opera completa di un pittore sotto forma di riproduzioni ad altissima definizione facendo ricorso a tecnologie digitali che consentono ormai di ottenere delle riproduzioni assolutamente conformi alle opere originali. La notevole risoluzione dei dettagli, il formato rigorosamente 1:1 (la riproduzione de L’ultima cena di Leonardo occupa uno spazio di circa 45 metri quadri!), la corretta tonalità della stampa - certificata da un direttore artistico di chiara fama - conferiscono a queste riproduzioni una straordinaria verosimiglianza rispetto agli originali.

Le riproduzioni sono stampate su un tessuto trasparente e retroilluminate. Questa soluzione, oltre a conferire una particolare suggestione ai dipinti, consente di cogliere dettagli e sfumature difficilmente apprezzabili nelle tele originali, la cui fruizione risulta spesso inficiata dai riflessi prodotti da robusti vetri di protezione o da lampade malamente orientate da allestitori alla ricerca di effetti speciali; per non parlare dei faretti delle cappelle che pretendono un obolo al minuto. Con Le Mostre Impossibili si è consentito a un vastissimo pubblico di ammirare opere d’arte che finora potevano essere viste soltanto sul posto o che – tutt’al più – potevano essere intraviste in riproduzioni di piccolo formato: cataloghi, immagini a bassa qualità presenti sul web, poster e documentari televisivi.

Le Mostre Impossibili hanno il pregio dell’ubiquità; pertanto, possono essere allestite contemporaneamente in diversi luoghi. Inoltre, sono modulari: i loro materiali possono essere ordinati non solo per autori, ma anche per periodi storici, scuole d’arte, argomenti, ecc.

Con Le Mostre Impossibili nasce un nuovo genere di museo, che affianca quelli tradizionali, in cui l’aspetto didattico ed espositivo risultano preminenti e particolarmente curati: le mostre sono, infatti, corredate da film e documentari, audioguide registrate con la viva voce di prestigiosi storici dell’arte di vari paesi, spettacoli teatrali sulla vita e l’opera dell’artista, come quelli creati appositamente da Dario Fo, per le tre mostre sinora realizzate.

Le mostre possono essere facilmente trasportate e allestite, in forme diverse e a costi assolutamente contenuti, nelle principali città del mondo ma anche in piccoli centri abitati. Non sono un’alternativa al museo tradizionale e ancor meno una sfida ad esso; vogliono essere, piuttosto, una soluzione innovativa per favorire la circolazione delle opere d’arte a costi contenuti portandole a conoscenza di fasce di popolazione abitualmente estranee al circuito delle grandi mostre e dei viaggi internazionali.

Ponendo l’accento sul valore (culturale ed economico) delle riproduzioni non s’intende minimamente ridimensionare la sacralità del capolavoro originale ponendolo quasi sullo stesso piano del facsimile; al contrario, la diffusione delle riproduzioni opera come una sorta di trailer di grande efficacia e filologicamente impeccabile: un invito a visitare i capolavori del nostro paese. L’idea del trailer è, peraltro, già presente nelle riflessioni di André Malraux: “Nessuna riproduzione, per quanto tecnicamente perfetta, può essere più avvincente e toccante dell’opera originale. Tuttavia, la riproduzione fotografica delle opere d’arte ha consentito a decine di milioni di persone di conoscere e apprezzare i capolavori dei grandi artisti di tutti i tempi, invogliandoli, al tempo stesso, a visitare i luoghi che li ospitano per poterli ammirare nello splendore della loro autenticità”3.

 

Questioni di sfondo

La storia dell’arte è segnata dal succedersi di svariate tecniche di riproduzione: dalla xilografia all’acquaforte, dalla puntasecca alla litografia, dalla fotografia analogica a quella digitale. La riproducibilità è il tratto distintivo della modernità. Il criterio di grande serialità, che ha ispirato l’organizzazione scientifica del lavoro, la catena di montaggio e il taylorismo, ha contaminato l’industria culturale caratterizzandone la nascita e lo sviluppo. Dal Bauhaus all’industria del design, dalla fotografia al cinema, dal “livre di poche” all’e-Book, dalla realtà virtuale agli ologrammi, tutto è all’insegna della serialità. La propensione alla replica è un filo rosso che attraversa tutta la storia dell’arte: dalla massiccia produzione, in età ellenistica e romana, di copie di statue greche fino ai falsi d’autore dell’epoca moderna. La diffusione di repliche di dipinti famosi progredisce con la nascita e lo sviluppo del mercato delle opere d’arte: una moda che ha contagiato, talvolta, gli stessi autori delle opere originali, da Caravaggio a De Chirico. La pop art e il cosiddetto postmodernismo consacreranno la serialità come categoria estetica. Si pensi alla Campbell Soup di Andy Warhol.

Con l’avvento della tecnologia digitale distinguere l’originale dalla copia diventa sempre più arduo (ne sanno qualcosa le case discografiche, le major del cinema, i produttori di software, ecc.) per il semplice fatto che gli originali (libri, foto, video, software, ecc.) sono fatti, per così dire, della stessa pasta delle loro riproduzioni: sono file digitali. Ad esempio, i capolavori della pittura, grazie agli scanner digitali, si liberano della loro “guaina”, cioè del loro supporto originale (tela, legno, muro) per clonarsi e disseminarsi in ogni luogo.

Il primo a intuire la valenza politica e sociale che avrebbe assunto la riproducibilità dell’opera d’arte è Paul Valéry. Con straordinaria preveggenza, in uno scritto del 1928, egli intravede, nell’invenzione del fonografo, una rivoluzione culturale nel campo della musica i cui effetti si riverbereranno a livello di massa: “Fare ascoltare in un punto qualunque del globo, nello stesso istante, un’opera musicale eseguita non importa dove. Questi problemi sono stati risolti. Le soluzioni si fanno ogni giorno più perfette. Sicuramente saranno dapprima solo la riproduzione e la trasmissione delle opere a vedersi coinvolte... Le opere acquisteranno una sorta di ubiquità... non esisteranno più solo in sé stesse, ma ovunque ci sarà qualcuno... Come l’acqua, il gas, la corrente elettrica giungono di lontano nelle nostre case per rispondere ai nostri bisogni con uno sforzo quasi nullo, così saremo alimentati da immagini visive o uditive, che appariranno e spariranno al minimo gesto, quasi a un cenno”4.

In quest’incredibile divinazione del touchscreen, cioè del gesto del dito che miracolosamente fa apparire, su uno schermo a portata di mano, la pagina di un libro, un brano musicale o un film, è racchiuso il senso della rivoluzione socio-culturale prodotta dalla riproducibilità nel campo delle arti e della conoscenza per una libera e illimitata circolazione delle opere dell’ingegno umano.

Le Mostre Impossibili si collocano nella stessa prospettiva auspicata da Paul Valéry inserendosi in quella tradizione di pensiero che vede nella cultura

“L’unico bene dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire, diventa più grande”5.

 

 

3 André Malraux, Les voix du silence,Paris, Gallimard, 1951. Tr. it. Il museo dei musei. Le voci del silenzio, Milano, Mondadori, 1957.

4 Paul Valéry, La conquête de l’ubiquité, Oeuvres, tome II, Pièces sur l’art,Paris, Nrf, Gallimard, Bibl. de la Pléiade, 1960, 1726 pages, p.1283.

5 Hans-Georg Gadamer, intervista televisiva rilasciata per l’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, Rai, Napoli 1989.

In a single exhibition space, The Impossible Exhibitions present a painter's entire oeuvre in the form of very high definition reproductions, making use of digital technology permitting reproductions that fully correspond to the original works. Remarkable detail resolution, the rigorously 1:1 format (Leonardo's Last Supper reproduction occupies around 45 square metres!), the correct print tone – certified by a well-known artistic director – make these reproductions extraordinarily close to the originals.

The reproductions are printed on a transparent, backlit textile. This solution gives the paintings special fascination but also lets you grasp details and nuances the original canvases hide and make difficult to enjoy, due to reflections by robust protection glass or lamps set up to show special effects; never mind the spotlights on church works, paid for by the minute. The Impossible Exhibitions let very vast public admire works of art which could thus far only be seen on site or – at best – spotted in small format reproductions: catalogues, low-quality web images, posters and TV documentaries.

The Impossible Exhibitions enjoy ubiquity: so they can be mounted in various places at the same time. They are also modular: the material may be ordered by not only painter but also historical period, art school, subjects etc. The Impossible Exhibitions start a new type of museum, flanking traditional ones, in which the didactic and exhibition aspects appear pre-eminent and particularly attended to: the exhibitions are indeed enhanced by films and documentaries, audio guides recorded viva-voce by prestigious art historians from different countries, theatre shows on the artist's life and work, like those made for the occasion by Dario Fo, for the three exhibitions so far created.

The exhibitions can be easily transported and mounted, in different forms and at limited costs, in the world's main cities but also in old towns. They are not an alternative to the traditional museum, still less a challenge thereto; they rather aim to be an innovative solution to foster the circulation of works of art at limited costs to make them known to people who are usually strangers to great museums or unable to travel abroad.

Stressing the (cultural and economic) value of the reproductions does not mean resizing the “sacredness” of the oiginal masterpiece by putting it on the same level; on the contrary, spreading work reproductions is a sort of highly effective, philologically impeccable trailer: an invitation to visit the masterpieces in the holding  country. The trailer idea is, then, already present in André Malraux' reflections:

“No reproduction, however technically perfect, can be more gripping and touching than the original work. However, the photographic reproduction of works of art has allowed tens of millions of people to know and appreciate the masterpieces by great artists of all times, at the same time urging them to visit the places hosting them so they can admire them in the splendour of their authenticity”. (3)

 

Matters of background

Art history is marked by a succession of varied reproduction techniques: from woodcuts to etchings, drypoints to lithographs, analogue to digital photography. Reproduction is modernity's distinctive trait. Taylorism, inspiring the scientific organisation of work and seriality, contaminated the cultural industry and characterised its birth and development. From Bauhaus to the design industry, photography to cinema, “livre di poche” to eBook, virtual reality to holograms, everything means seriality. The reproduction tendency is a thread passing through all art history: from the mass production in the Hellenistic and Roman ages of Greek statue copies to artist fakes in the modern époque. Spreading copies of famous paintings goes on with the birth and development of the work of the art market: a trend that sometimes contaminated the actual artists of the original works, from Caravaggio to De Chirico. Pop art and so-called post-modernism will consecrate seriality as an aesthetic category. Consider Andy Warhol's Campbell Soup.

With the advent of digital technology, distinguishing the original from the copy becomes ever harder (record labels, cinema majors, software producers etc could say something about this) simply because the originals (books, photos, videos, software etc) are made, so to speak, from the same stuff as their reproductions: they are digital files. For example, thanks to digital scanning, painting masterpieces are freed from their “glove”, i.e. original support (canvas, wood, wall) to be cloned and disseminated everywhere.

Paul Valéry was the first to sense the socio-political value that reproducing a work could take on. With extraordinary foresight, his 1928 text recognised in the invention of the phonograph a cultural revolution in the field of music, whose effects would reverberate on a mass level: “Listen to a piece of music performed anywhere, on any point of the globe, at the same instant. These problems were solved. The solutions become more perfect every day. First it will inevitably only involve the reproduction and transmission of the works... The works will acquire a sort of ubiquity... They will no longer exist only in themselves, but wherever there is anyone... Like water, gas, electric current they reach our houses from afar to respond to our needs with barely any effort, so they will be supplied by visual or audio images that will appear and disappear at the slightest gesture, almost at a hint.” (4)

This incredible prediction of touchscreen – i.e. a finger gesture miraculously conjuring up the page of a book, a musical piece or a film on a screen to hand – includes the sense of socio-cultural revolution reproduction produces in the field of arts and awareness for free, unlimited circulation of the works of human ingenuity.

The Impossible Exhibitions join the same prospects hoped for by Paul Valéry as they are inserted into that tradition of thought which sees in culture

“the only human good which, spread among all, becomes greater rather than smaller.” (5)

 

 

3 André Malraux, Les voix du silence,Paris, Gallimard, 1951. It. tr. Il museo dei musei. Le voci del silenzio, Milano, Mondadori, 1957.

4 Paul Valéry, La conquête de l’ubiquité, Oeuvres, tome II, Pièces sur l’art,Paris, Nrf, Gallimard, Bibl. de la Pléiade, 1960, 1726 pages, p.1283.

5 Hans-Georg Gadamer, TV interview for Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, Rai, Napoli 1989.