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Il catalogo della Mostra Impossibile

Ultima cena The Last Supper

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Il Cenacolo della chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie segna una svolta nello sviluppo della cultura figurativa lombarda del tempo. L'imponente dipinto murale è realizzato a tempera e olio su due strati di intonaco, scelta dettata dall’ossessione sperimentatrice nutrita dal genio vinciano, antitetica alla tradizione fiorentina e settentrionale dell’affresco. Contrassegnata dalle insegne araldiche di Ludovico il Moro, duca di Milano e committente dell’impresa durante il 1494, l'Ultima Cena risulta terminata quando l’8 febbraio 1498, Luca Pacioli, amico di Leonardo, dedica allo Sforza il “De divina proportione”. Non sfugge ai contemporanei la carica innovativa dell’opera, primo caposaldo della “maniera moderna” per composizione, risoluzione prospettico-spaziale, cromatismo, in anticipo dunque sui raggiungimenti di Raffaello e Michelangelo. Difatti lo storico comasco Paolo Giovio, ripreso dall'aretino Giorgio Vasari, narra che Francesco I, dalla corte di Fointainebleau, lancia la proposta di segare il murale e trasferirlo in Francia. Il tema illustrato rimanda all'istituzione dell'Eucarestia. Leonardo svolge il momento in cui Cristo, alludendo al suo sacrificio, informa gli attoniti, sbigottiti apostoli che lo fiancheggiano "Uno di voi mi tradirà". Le reazioni emotive scaturite all'accoglimento della notizia - gesti, azioni, espressioni dei volti - costituiscono la più esemplare trasposizione figurata delle teorizzazioni vinciane intorno ai "moti dell'animo", sottolineata anche dalla preferenza accordata all'armonica distribuzione dei convitati in quattro raggruppamenti di tre. Un simile, ritmico espediente accresce la drammaticità dell'insieme, esaltando la scenografica configurazione dello spazio orchestrata dall'artista: gli arazzi a motivi millefleurs ai lati dell'aula - sorta di ardita scatola prospettica -, le finestre retrostanti, la quadratura del pavimento, l'estensione in orizzontale della tavola imbandita concorrono a generare un illusivo prolungamento del refettorio milanese. Si tratta di un paradigmatico artificio ottico-matematico amplificato dalla luce, proveniente dalle finte aperture di fondo - che inquadrano le trasparenze di un orizzonte collinare - e da una fonte esterna, forse esistente sulla parete sinistra della sala. La monumentalità delle figure, la collocazione sopraelevata, le lunette di coronamento imprimono alla scena accenti teatrali. L'opera, tra il 1982 e il 1999 è stata sottoposta a un complesso restauro.

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

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The Last Supper of Santa Maria delle Grazie marks a turning point in Lombard figurative culture of the time. The imposing mural was made in tempera and oil on two plaster levels, a choice dictated by the experimental obsession of the Vincean genius, antithetical to the Florentine, Northern fresco tradition. Distinguished by the heraldic emblems of Ludovico The Moor, Duke of Milan and commissioner of the project, the Last Supper was seemingly concluded on 8 September 1498, as annotated in the dedication to Sforza of De divina proportione by Luca Pacioli, Leonardo’s friend. Contemporaries could not miss the work's innovative charge, the first masterpiece of the “modern manner” in its composition, perspective-spatial resolution and chromatism, anticipating the achievements of Raphael and Michelangelo. Indeed, Giorgio Vasari, quoting Como historian Paolo Giovio, wrote that Francis I, from the Fointainbleau court, launched the proposal to saw down the mural and transfer it to France. The theme illustrated goes back to the institution of the Eucharist. Leonardo shows the moment in which Christ, alluding to his sacrifice, informs the stunned, amazed apostles flanking him, “One of you will betray me”. The emotive reactions triggered on receiving this news – gestures, actions, facial expressions – constitute the most exemplary figured transposition of Vincean theories on the “motions of the soul”, further underlined by the preference given to the harmonic distribution of those summoned in four groupings of three. A similar, rhythmic expedient enhances the drama of the whole, exalting the scenographic configuration of the space orchestrated by the artist: the tapestries with millefleurs motifs at the sides of the hall, a sort of daring prospective box; the windows behind; the floor framing; the horizontal extension of the full table: all these generate illusive lengthening of the Milanese refectory. This is a paradigmatic, optical-mathematical artifice amplified by light from the false background openings – squaring the waving transparencies of a side horizon – and an external front, maybe on the left wall of the room. The monumentality of the figures, the elevated collocations, the crowning lights impress on the theatrically presented scene. The work underwent a complex restoration (1982-1999).

Text by Maria Teresa Tancredi

 

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PrimaveraPrimavera

Sandro BotticelliSandro BotticelliSandro Botticelli

Il dipinto venne eseguito per Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici (1465-1503), cugino di secondo grado di Lorenzo il Magnifico. Gli inventari di famiglia del 1498, 1503 e 1516 hanno anche chiarito la sua collocazione originaria, nel Palazzo di via Larga, dove rimase prima di essere trasferita nella Villa di Castello, dove il Vasari riferisce di averla vista nel 1550, accanto alla Nascita di Venere. Il titolo con cui è universalmente conosciuto il dipinto deriva proprio dall'annotazione del Vasari ("Venere che le Grazie fioriscono, dinotando Primavera"), dalla quale derivano anche le linee cardine su cui si sono mossi tutti i tentativi di interpretazione. In un ombroso boschetto, che forma una sorta di semi-cupola di aranci colmi di frutti e arbusti sullo sfondo di un cielo azzurrino, sono disposti nove personaggi, in una composizione bilanciata ritmicamente e fondamentalmente simmetrica attorno al perno centrale della donna col drappo rosso e verde sulla veste setosa. Il suolo è composto da un verde prato, disseminato da un'infinita varietà di specie vegetali e un ricchissimo campionario di fiori: nontiscordardimé, iris, fiordaliso, ranuncolo, papavero, margherita, viola, gelsomino, ecc.
I personaggi e l'iconografia generale vennero identificati nel 1888 da Adolf Gaspary, basandosi sulle indicazioni di Vasari, e, fondamentalmente, non sono più stati messi in discussione. Cinque anni dopo Aby Warburg articolò infatti la descrizione che venne sostanzialmente accettata da tutta la critica, sebbene sfugga tuttora il senso complessivo della scena. L'opera è, secondo una teoria ampiamente condivisa, ambientata in un boschetto di aranci (il giardino delle Esperidi) e va letta da destra verso sinistra, forse perché la collocazione dell'opera imponeva una visione preferenziale da destra. Zefiro, vento di sud ovest e di primavera che piega gli alberi, rapisce per amore la ninfa Clori (in greco Clorìs) e la mette incinta; da questo atto ella rinasce trasformata in Flora, la personificazione della stessa primavera rappresentata come una donna dallo splendido abito fiorito che sparge a terra le infiorescenze che tiene in grembo. A questa trasformazione allude anche il filo di fiori che già inizia a uscire dalla bocca di Clori durante il suo rapimento. Al centro campeggia Venere, inquadrata da una cornice simmetrica di arbusti, che sorveglia e dirige gli eventi, quale simbolo neoplatonico dell'amore più elevato. Sopra di lei vola il figlio Cupido, mentre a sinistra si trovano le sue tre tradizionali compagne vestite di veli leggerissimi, le Grazie, occupate in un'armoniosa danza in cui muovono ritmicamente le braccia e intrecciano le dita. Chiude il gruppo a sinistra un disinteressato Mercurio, coi tipici calzari alati, che col caduceo scaccia le nubi per preservare un'eterna primavera.

Fonte: Wikipedia

 

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The painting was painted for Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici (1465-1503), second cousin of Lorenzo il Magnifico. The family inventories of 1498, 1503 and 1516 also clarified its original location, in the Palazzo in Via Larga, where it remained before being transferred to the Villa di Castello, where Vasari reports having seen it in 1550, next to the Birth of Venus. The title under which the painting is universally known derives from Vasari's annotation ("Venus that the Graces bloom, giving birth to Spring"), from which also derive the pivotal lines on which all attempts at interpretation were made. In a shady grove, which forms a sort of semi-dome of orange trees full of fruits and shrubs against the background of a blue sky, nine characters are arranged in a composition rhythmically and fundamentally symmetrically balanced around the central pivot of the woman with the red and green drape on her silky dress. The soil is composed of a green meadow, scattered with an infinite variety of plant species and a rich sample of flowers: forget-me-nots, irises, cornflower, buttercup, poppy, daisy, violet, jasmine, etc..
The characters and general iconography were identified in 1888 by Adolf Gaspary, based on Vasari's indications. In fact, five years later Aby Warburg articulated the description which was substantially accepted by all the critics, although the overall sense of the scene still eludes us. The work is, according to a widely shared theory, set in an orange grove (the garden of Hesperides) and should be read from right to left, perhaps because the location of the work imposed a preferential view from the right[2]. Zephyr, a south-westerly and spring wind that bends the trees, kidnaps for love the nymph Clori (in Greek Chlorìs) and makes her pregnant; from this act she is reborn transformed into Flora, the personification of the spring itself represented as a woman with a splendid flowery dress that spreads on the ground the inflorescences she holds in her lap. To this transformation also alludes the thread of flowers that already begins to come out of Chlorine's mouth during her abduction. In the center stands Venus, framed by a symmetrical frame of shrubs, which watches and directs events, as a neoplatonic symbol of the highest love. Above her flies her son Cupid, while on the left are her three traditional companions dressed in very light veils, the Graces, busy in a harmonious dance in which they rhythmically move their arms and intertwine their fingers. Closing the group on the left is a disinterested Mercury, with his typical winged shoes, who with the caduceus chases away the clouds to preserve an eternal spring.

 

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Madonna con il bambinoMadonna with Child

CimabueCimabue

Proveniente dalla collegiata dei Santi Lorenzo e Leonardo, la tavola rappresenta su fondo oro Maria, raffigurata nell'iconografia dell'Odigitria, cioè mentre indica il bambino che tiene in mano una pergamena arrotolata. La Vergine è racchiusa nel manto scurissimo che le avvolge anche la testa, illuminato dalle striature dorate da cui appena si coglie il rosato della tunica dallo scollo bordato da un raffinato gallone. La postura, il panneggio rigido e schematico, le grandi mani evidenti riportano alla tradizione bizantina, come la rigidezza del volto per quanto più dolce e delicato rispetto a opere precedenti. Tra la fine del Duecento e l’inizio del secolo successivo si abbandonano le formule più rigide di ascendenza bizantina a favore di una resa più realistica e umanizzata delle figure sacre. La tavola si inserisce in quel momento di passaggio verso la maniera nuova che Giotto porterà a vette altissime. Se l'autografia di Cimabue trova concorde gran parte della critica, non si può dimenticare la somiglianza iconografica con la Madonna di Crevole di Duccio di Buoninsegna per la malinconica espressione del volto, la raffinatezza cromatica e linearistica, l'accenno ad un moto di umanizzazione del sacro. Si tratti di un diretto intervento o di un dialogo a distanza ravvicinata, la comunanza tra i due artisti è evidente.

Testo di Giovanna Lazzi 

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Deriving from the College of Saints Lorenzo and Leonardo, the panel depicts Mary against a gold background, portrayed in the iconography of Odigitria, that is, while showing the Child, who holds a rolled-up parchment in His hand. The Virgin is wrapped in the dark cloak that also covers her head, illuminated by golden streaks that just reveal the pink of the tunic with its fringed neckline and refined chevron. The posture, the rigid and schematic drapery, the evident large hands hark back to the Byzantine tradition, as does the rigidity of the face, although it is sweeter and more delicate than in previous works. Between the end of the thirteenth century and the start of the following one, the more rigid forms of Byzantine ascendance were abandoned in favour of a more realistic, humanised rendering of sacred figures. The panel lies in that moment of transition towards the new manner, which Giotto would take to its highest level. Even if critics largely agree that this is Cimabue’s work, we may not overlook its iconographic similarities to Duccio di Buoninsegna’s Crevole Madonna concerning the melancholic facial expression, the chromatic and linearistic refinement, the hint of a move towards humanising the sacred. Whether there was direct intervention or close-range dialogue, the commonality between the two artists is undeniable. 

Text by Giovanna Lazzi 

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Santo StefanoSaint StephenSanto Stefano

GiottoGiotto

Per le misure e la forma, la tavola, acquistata a Londra agli inizi del Novecento da Herbert Percy Horne, era stata associata alla Madonna col Bambino della National Gallery di Washington e ai due santi Giovanni Evangelista e Lorenzo del Museo Jacquemart-André di Chaalis, ma indagini recenti hanno chiarito la preparazione a terra verde e non rossa come gli altri, smentendo l'appartenenza ad un medesimo polittico. La qualità molto alta e la vicinanza stilistica con gli affreschi della Cappella Bardi di Santa Croce hanno consentito l'attribuzione a Giotto quasi concordemente accettata. Sul fondo oro prezioso e metafisico risalta l'elegante figura del santo a mezzo busto. La dalmatica, che ricorda il suo stato di diacono, bianca e luminosa brilla per l'elegantissima decorazione geometrica di impianto orafo che suggerisce oro e smalti, mentre le pieghe della ampia manica in primo piano piombano pesanti in cadenze classiche. I due sassi sulla testa simbolo del martirio non scalfiscono la serena dolcezza del volto dagli occhi allungati. La mano affusolata regge e mostra un libro coperto da un panno rosso e oro che ricade con attento realismo ma anche con un acuto simbolismo. In antico la copertura (velatio) delle mani e degli oggetti indica il rispetto dovuto alla sacralità: il libro allude alle Scritture, che Stefano conosceva assai bene come dimostra la sua difesa davanti al Sinedrio contro l'accusa di blasfemia, ma anche alla sua predicazione. Il protomartire infatti, il primo ad essere martirizzato nel nome di Cristo, come si legge negli Atti degli Apostoli, era uno dei sette diaconi scelti dagli apostoli per diffondere la fede e per questo lapidato. La ieratica bellezza del santo, sottolineata anche dall'eleganza delle lettere puntinate sull'aureola che ricordano i caratteri islamici tanto di moda, la raffinatezza delle decorazioni e la dolcezza del volto rivelano la conoscenza dell'ambiente senese che tuttavia si lega alla solidità dell'impianto e alla volumetria del corpo, che domina lo spazio con il sapiente trapasso cromatico e la linea di contorno energica e decisa, come nelle altissime prove del Giotto maturo. Interprete del suo tempo che umanizzava i fatti sacri cercando di comprenderli, audacemente libero dopo l'eliminazione dei modi bizantini toppo a lungo e ormai stancamente ripetuti, Giotto è un pittore "moderno" che rimarrà un punto di riferimento non solo stilistico ma soprattutto interpretativo, come aveva acutamente sottolineato Cennino Cennini “Rimutò l’arte di dipingere di greco in latino, e ridusse al moderno: et ebbe l’arte più compiuta ch’avessi mai più nessuno”.

Testo di Giovanna Lazzi

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This panel was bought in London by Herbert Percy Horne in the early 1900s. Due to its size and form, it was associated with the Madonna and Child at the National Gallery in Washington and the two saints John the Evangelist and Laurence in Museo Jacquemart-André in Chaalis, but recent investigation has indicated preparation on green ground, rather than red as on others, so it cannot belong to the same polyptych. The high quality and stylistic closeness to the frescoes in the Bardi Chapel of Santa Croce have made attribution to Giotto almost unanimously agreed upon. The elegant, half-bust figure of the saint stands out against the precious gold, metaphysical background. The bright, white dalmatic, recalling his status as deacon, shines with the elegant, goldsmith-like decoration suggesting gold and enamel, while the folds of the wide sleeve in the foreground fall heavily in classical cadences. The two rocks on the head, the martyr’s symbol, do not spoil the serene sweetness of the long-eyed face. The tapered hand holds and shows a book covered by a red and gold drape, falling with both attentive realism and acute symbolism. In antiquity, the covering (velatio) of hands and objects indicated respect due to sacredness: the book alludes to the Scriptures, which Stephen knew very well, as is shown by his defence before the Sanhedrin against the accusation of blasphemy, but also his preaching. In fact the proto-martyr, the first to be martyred in the name of Christ, as the Acts of the Apostles say, was one of the seven deacons chosen by the apostles for spreading the faith and wich is way he was stoned. The saint’s hieratic beauty, also underlined by the elegant letters dotted on the halo and recalling highly fashionable Islamic characters, the refined decorations and the sweet face reveal awareness of the Siena environment, though it is tied to the solid layout and body volumes, dominating the space with the wise chromatic transfers and energetic, resolute frame lines, as in the highest works of the mature Giotto. Interpreter of his time, humanising scared deeds in an attempt to understand them, and audaciously free after the elimination of overly long, tiresomely repeated Byzantine ways, Giotto is a "modern" painter who will remain a stylistic, but mainly interpretative reference point, as Cennino Cennini accurately stressed: “He changed the art of painting from Greek to Latin, and reduced to modern: and he had the most accomplished art anyone would ever have”.

Text by Giovanna Lazzi

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La très haute qualité de la peinture et la proximité stylistique avec les fresques de la Chapelle Bardi de Santa Croce ont permis de l’attribuer à Giotto, ce qui a été presque unanimement accepté. Sur le fond or précieux et métaphysique se distingue l’élégante figure du saint en demi-buste. La dalmatique, qui rappelle son statut de diacre, brille, blanche et lumineuse grâce à la très élégante décoration géométrique de l’ouvrage d’orfèvrerie suggérant or et émaux, tandis que les plis de la large manche tombent lourdement en cadences classiques. Les deux pierres sur sa tête, symbolisant son martyre, n’entament pas la sereine douceur du visage aux yeux étirés. La main fuselée soutient et montre un livre recouvert d’un drap rouge et or qui retombe avec un réalisme zélé, mais aussi un symbolisme aigu. Dans les temps anciens la couverture (velatio) des mains et des objets indiquait le respect dû à la sacralité : le livre fait référence aux Écritures, qu’Étienne connaît très bien comme le démontre sa défense devant le Sanhédrin contre l’accusation de blasphème, mais également à sa prédication. Le protomartyr, en effet, le premier à être martyrisé au nom du Christ, comme on le lit dans les Actes des Apôtres, était l’un des sept diacres choisis par les apôtres pour répandre la foi, et fut lapidé pour cette raison. La beauté hiératique du saint, que souligne aussi l’élégance des lettres en pointillé sur l’auréole rappelant les caractères islamiques alors à la mode, le raffinement des décorations et la douceur du visage révèlent le savoir-faire du milieu artistique de Sienne, qui s’associe à la solidité de la construction et à la volumétrie du corps, dominant l’espace avec le savant transfert chromatique et la ligne de contour énergique et ferme, comme dans les essais d’une qualité exceptionnelle datant de la maturité de Giotto.

Interprète de son temps, humanisant les faits sacrés tout en essayant de les
comprendre, avec une liberté pleine d’audace, et après avoir éliminé les modes
byzantins répétés pendant trop longtemps et jusqu’à l’épuisement, Giotto sà affirme comme un peintre « moderne » qui restera un point de référence non seulement pour le style, mais surtout pour l’interprétation, comme l’avait très justement souligné Cennino Cennini : « Il changea l’art de peindre du grec en latin, et en vint au moderne : il obtint l’art le plus accompli que personne n’eut jamais plu ».

Texte de Giovanna Lazzi 

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Madonna col Bambino tra i santiMadonna and Child with Two Saints

Gentile da FabrianoGentile da FabrianoGentile da Fabriano

L'opera venne dipinta probabilmente per la chiesa di Santa Caterina in Castelvecchio a Fabriano, presso il cui convento visse il padre del pittore dal 1385, dopo che era rimasto vedovo. Al nome della chiesa alluderebbe la presenza di santa Caterina d'Alessandria a destra, individuabile dalla sola palma del martirio in mano, il tradizionale attributo della ruota dentata qui è rappresentato molto piccolo e sembra quasi un gioiellino nascosto sotto la sua scarpa sinistra. Il donatore inginocchiato è stato riconosciuto come un mercante, forse Ambrogio di Bonaventura. La scena mostra la Madonna col Bambino in trono, che guarda verso lo spettatore, affiancata dai due santi, Nicola di Bari e Caterina, e dal donatore inginocchiato in basso, di proporzioni più piccole, secondo la tradizione medievale, ma comunque considerevoli. La sua figura è di profilo e rigidamente immota, con una buona resa della fisionomia individuale nel ritratto. Maria poggia i piedi su una pedana decorata da archetti polilobati, a sua volta collocata sopra uno straordinario prato fiorito, con le specie vegetali indagate con grande cura, tra cui spiccano due alti gigli bianchi, tipico fiore offerto a Maria, simbolo della sua purezza. Tale caratteristica deriva dalla tradizione del gotico internazionale lombardo, nella cui area di influenza, verosimilmente a Pavia, Gentile abbe la sua formazione. Alcuni stilemi rimandano inequivocabilmente alla tradizione tardogotica, come il ritmico cadere delle pieghe dei panneggi in linee sinuose, mentre altri rimandano a un rinnovato naturalismo, come la figura esile e atteggiata con scioltezza del Bambino, benedicente verso il committente e con un braccio che va a cercare il collo della madre. Il suo corpicino è avvolto da Maria in un panno foderato di pelliccia, morbida e calda, resa grazie a uno stratagemma pittorico di sfumature ovattate e delicatissime che è tipico del pittore. La stessa resa materica si ritrova anche nel vestito di Caterina, abbigliata con lo sfarzo di una principessa dell'epoca. Un altro chiaro indizio della paternità gentilesca è il gesto della mano in scorcio di san Nicola, che sembra uscire dal dipinto, secondo un procedimento illusionistico che venne messo a punto meglio in opere successive, come la Pala Strozzi. Altre caratteristiche tipiche sono la fisionomia di Maria, con gli occhi grandi come nella Madonna col Bambino in gloria tra i santi Francesco e Chiara, o l'attenzione alla riproduzione di gioielli, come le spille che reggono i manti della Vergine e di Nicola.

Fonte: Wikipedia

 

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The work was probably painted for the church of Santa Caterina in Castelvecchio in Fabriano, in whose convent the painter's father lived since 1385, after he had been a widower. The name of the church would allude to the presence of St. Catherine of Alexandria on the right, identifiable by the only palm of martyrdom in her hand, the traditional attribute of the cogwheel here is very small and looks almost like a jewel hidden under her left shoe. The kneeling donor has been recognized as a merchant, perhaps Ambrose of Bonaventure. The scene shows the Madonna and Child enthroned, looking towards the spectator, flanked by the two saints, Nicola di Bari and Caterina, and the donor kneeling at the bottom, of smaller proportions, according to medieval tradition, but still considerable. His figure is in profile and rigidly motionless, with a good rendering of the individual physiognomy in the portrait. Mary rests her feet on a platform decorated with polylobed arches, in turn placed above an extraordinary flowering meadow, with the plant species investigated with great care, including two tall white lilies, a typical flower offered to Mary, a symbol of her purity. This characteristic derives from the Lombard international Gothic tradition, in whose area of influence, probably in Pavia, Gentile abbe his formation. Some styles refer unequivocally to the late Gothic tradition, such as the rhythmic fall of the folds of the draperies into sinuous lines, while others refer to a renewed naturalism, such as the slender and fluent figure of the Child, blessing the client and with an arm that goes looking for his mother's neck. His little body is wrapped by Mary in a soft and warm fur-lined cloth, rendered thanks to a pictorial stratagem of muffled and delicate shades that is typical of the painter. The same material rendering can also be found in Catherine's dress, dressed in the magnificence of a princess of the time. Another clear indication of the Gentilesque paternity is the gesture of the foreshortened hand of Saint Nicholas, which seems to come out of the painting, according to an illusionistic procedure that was better developed in later works, such as the Strozzi Altarpiece. Other typical features are the physiognomy of Mary, with her eyes as large as in the Madonna and Child in Glory between Saints Francis and Clare, or the attention to the reproduction of jewels, such as the brooches holding the cloaks of the Virgin and Nicholas.

 

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CrocifissioneCrucifixion

Beato AngelicoBeato Angelico

Conservato al Metropolitan Museum di New York dal 1943, il dipinto è attribuito al frate domenicano Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico (Vicchio di Mugello, ca 1400-Roma, 1455) in virtù della condotta esistenziale, del repertorio iconografico, del carattere devozionale della sua opera e dello stile, che si qualifica come una sintesi di prospettiva, luce e colore. Il soggetto illustrato è frequente nel catalogo dell’Angelico. La croce posta di taglio, la Madonna svenuta in primo piano, il sangue che zampilla dalla ferita al costato di Cristo saturano l’immagine di dramma ed espressività. Le figure, atteggiate in pose variate, sono distribuite su un fondo dorato di matrice tardogotica. Il trattamento dei volti e la loro caratterizzazione trovano riscontri nella celebre Adorazione dei Magidipinta da Gentile da Fabriano (Fabriano, ca 1370-Roma 1427) nel 1423 per il banchiere Palla Strozzi, oggi alla Galleria degli Uffizi. Il quadro dell’Angelico è pertanto rappresentativo di una fase suggestionata dall’opera del pittore marchigiano, esponente del Gotico Internazionale. Il maestro non tarderà però a comprendere e reinterpretare il rivoluzionario contributo offerto da Masaccio allo sviluppo della cultura pittorica del primo Quattrocento. Grazie a questi stimoli l’Angelico intraprende un percorso di innovazione e ricerca che concorre a inquadrarlo come uno dei grandi protagonisti del Rinascimento fiorentino. Lo testimoniano soprattutto la decorazione della Cappella Niccolina in Vaticano, commissionata da papa Niccolò V, e il vasto programma figurativo del convento di San Marco a Firenze, dove l’artista affresca in due tappe – tra il 1437 e il 1447 e tra il 1450 e il 1453 – quarantaquattro celle, la Sala Capitolare e l’Ospizio dei Pellegrini. 

Testo di Maria Tersa Tancredi

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Conserved at the Metropolitan Museum of New York since 1943, the painting is attributed to the Dominican monk Giovanni da Fiesole, called Beato Angelico (Vicchio di Mugello, ca 1400-Rome, 1455) by virtue of the existential conduct, iconographic repertory, and the devotional character of the work and the style, qualified as a synthesis of perspective, light and colour. The subject illustrated is frequent in Angelico’s catalogue. The cross placed cut-wise, the close-up fainting Madonna, the blood spurting from the wound on Christ’s ribs fill the image with drama and expressiveness. The figures are set in various poses and distributed over a golden background, late Gothic in matrix. The facial treatment and characterisation find correspondence in the famed Adoration of the Magi painted by Gentile da Fabriano (Fabriano, ca 1370-Rome 1427) in 1423 for the banker Palla Strozzi, now at the Uffizi Gallery. Angelico’s picture is, then, representative of a phase suggested by the work of the Marche painter, exponent of international Gothic. But the master would not hesitate to understand and reinterpret the revolutionarycontribution Masaccio offered to developing the pictorial culture of the early 1400s. by virtue of this stimulus, Angelico undertook an innovative research path that would lead to his being listed among the greatest players in the Florentine Renaissance. This is particularly clear from the decoration of the Niccolina Chapel in the Vatican, commissioned by Pope Niccolò V, and the vast programme to decorate the San Marco Convent in Florence, where the artist frescoed 44 cells, the Chapter House and Pilgrims’ Hospice in two stages, between 1437 and 1447 and between 1450 and 1453. 

 Text by Maria Teresa Tancredi

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Madonna dell'UmiltàMadonna of Humility

Beato AngelicoBeato Angelico

Descritta da Giorgio Vasari nel 1568 nella casa della famiglia Gondi, a Firenze, dove faceva parte di un polittico, la delicata immagine interpreta in tono personale il tema molto noto della Madonna dell'Umiltà, dove la Vergine è presentata non tanto nella sua regalità sacrale assisa in trono quanto nell’accezione più umana e terrena, in atto di presentare il suo bambino o addirittura di adorarlo. L'Angelico non dimentica tuttavia l'alto ruolo di Maria e, se elimina il trono, la circonda però d'oro mediante la cortina che le fa da sfondo, quasi un baldacchino scenograficamente aperto da due angeli, e i ricchi galloni ricamati che illuminano il prezioso azzurro del manto. Dorati sono anche il cuscino e i gradini che la innalzano e la isolano. Molto più umano è il rapporto con il Bambino, in piedi, che le poggia dolcemente la guancia al volto, sorretto dalla mano garbata ma salda della madre. L'aureola crociata ricorda il destino del piccolo Gesù, ma non turba la serenità dell'intimo rapporto tra i due. Non manca una sottile rete di rimandi simbolici nella presenza delle rose e gigli, fiori mariani per eccellenza. Il colore tenero e sfumato ma sapientemente dosato, con quella raffinatezza smaltata che tradisce la consuetudine dell'artista con la miniatura.

Le eleganze della cultura "tardogotica" si fondono con la conoscenza della nuova temperie artistica fiorentina, dimostrando che la lezione di Masaccio era stata ben assorbita anche dal raffinato frate domenicano. Le figure sono infatti collocate in uno spazio reale e ben modulato dall'attenzione alle leggi prospettiche, creando scorci sapienti, come l'angelo al vertice o il tendaggio che determina la profondità. La scena emana una calma serena immersa in un'atmosfera celestiale per la presenza dei due angeli musicanti che suonano l'organo portativo e il liuto.

        

Described by Giorgio Vasari in 1568 in the house of the Gondi family, at Florence, where it was part of a polyptic, this delicate image personally interprets the well-known theme of the so-called Madonna of Humility, where the Virgin is presented not so much in her sacred regality, sitting on a throne, as in the more human, worldly sense, in the act of showing or even adoring her Child. Angelico does not however forget Mary’s other role and although he eliminates the throne, he surrounds her with gold through the curtain that acts as her background, almost a canopy scenographically opened by two angels, and the rich embroidered chevrons that illuminate the precious blue of the cloak. The cushion and the steps that enhance and isolate her are also golden. Far more human is the relationship with the standing Child, who sweetly places His hand on her cheek, supported by His mother’s graceful yet firm hand. The crossed halo recalls the destiny of the small Jesus, without disturbing the serenity of the intimate bond between the two. There is also a subtle network of symbolic references in the presence of roses and lilies, Mary’s flowers par excellence. With that refined polish that gives away the artist’s acquaintance with illuminated manuscript. The soft, sfumato, but wisely measured colour does not contradict but actually emphasises the volumetric firmness of the bodies and the convinced placement of the figure of Mary in space.

The elegance of "late Gothic" culture fuses with awareness of the new artistic Florentine climate, demonstrating that the teaching of Masaccio had also been absorbed by the refined Dominican monk. The figures are placed in a real space, well modulated by attention to perspectival laws, creating wise foreshortening, as in the angel at the top of the drapes that determine the depth. The scene emanates serene calm, immersed in an atmosphere made celestial by the presence of two angel musicians playing a hand-held organ and a lute.

Text by Giovanna Lazzi

San PaoloSaint Paul

MasaccioMasaccioMasaccio

Non vi sono testimonianze che l'opera fosse appartenuta al Polittico del Carmine, ma lo stile, il collegamento con il Sant'Andrea (Los Angeles, Getty Museum) e la provenienza da Pisa, lasciano presupporre che avesse fatto parte del grande complesso, forse sopra il perduto pannello laterale di San Pietro. Secondo la tradizionale iconografia, Paolo tiene con la mano destra la spada, simbolo del suo martirio, e con la sinistra gli Atti degli Apostoli. La figura è modellata dalla classica cadenza dei panneggi del mantello di rosato che esalta il giallo dorato della tunica impreziosita da un raffinato ricamo al collo. Il senso di grandiosità dato dai volumi si accentua grazie alla luce che plasma il corpo, la leggera torsione della testa, che lo volge quasi di tre quarti, imprime vitalità al personaggio e ne esalta l'austera severità del filosofo espressa nella fronte alta e nella massa compatta dei capelli che, con la barba minuziosamente tratteggiata e sapientemente lumeggiata, incornicia il volto di uomo forte e sapiente. A differenza dello scultoreo Sant'Andrea, il trattamento dell'incarnato e dei tessuti appare più delicatamente sfumato e pittorico, senza nulla perdere della maestosa monumentalità di ricordo donatelliano. Inserito nella serrata impaginazione del polittico anche san Paolo viveva la sua singolarità di individuo ma coerentemente partecipe di tutto l'insieme, dal momento che tutti i pannelli rispondevano ad un unico punto di fuga in modo che la composizione risultasse unitaria. 

 Testo di Giovanna Lazzi

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There are no reports that this work belonged to the Carmine polyptych, but its style, connection to the Saint Andrew (Los Angeles, Getty Museum) and origin of Pisa imply that it was part of the great complex, perhaps above the lost side panel of Saint Peter. In accordance with iconographic tradition, Paul holds the sword, symbol of his martyrdom, in his left hand, and the Acts of the Apostles in his right. The figure is shaped by the classic cadences of the rosé cloak drapes, bringing out the golden yellow of the tunic that is embellished by its refined embroidery around the neck. The sense of greatness, given by the volumes, is highlighted by the light forming the body, and the slight twist of the head, which turn sit almost three-quarters, impresses vitality onto the character and underlines the philosopher’s austere severity, expressed by the high forehead and compact mass of hair which, with the minutely treated, wisely illuminated beard, frame the the face of this strong, learned man. The handling of the subject and the textiles appears more delicately toned and pictorial than the sculptural Saint Andrew, without losing any of the masterful monumentality of the Donatello reference. Inserted into the tight set of the polyptych, Saint Paul too lived his uniqueness as an individual, but is a coherent participant in the whole, since all the panels relate to a single vanishing point so that the composition appears unified. 

Text by Giovanna Lazzi 

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Crocifissione di San PietroCrucifixion of Saint Peter

MasaccioMasaccioMasaccio

I pannelli della predella con l'Adorazione dei Magi e il Martirio di Pietro e Giovanni Battista furono acquistati nel 1880 dalla collezione Capponi di Firenze. Nel Polittico di Pisa la Crocifissione si trovava nel lato sinistro, al di sotto di un perduto pannello con il san Pietro. 

La figura del santo, con l'aureola scorciata in prospettiva, inchiodato alla croce, a testa in giù secondo l'iconografia consueta, scandisce lo spazio e attraverso un gioco di linee costruttive cattura interamente l'attenzione. Due costruzioni laterali in funzione di quinte architettoniche inquadrano la scena come periatti teatrali e alludono agli edifici romani tradizionalmente legati al martirio di Pietro: la piramide di Caio Cestio e la Meta Romuli, un mausoleo piramidale ancora esistente nel XV secolo in prossimità del Vaticano; nel palazzo sullo sfondo si apre una porta che immette illusionisticamente in un interno con la sua massa buia prolungando lo spazio. Le guardie allineate, con il volto abbassato, muti e quasi vergognosi comprimari del supplizio, seminascoste dagli scudi, si illuminavano di guizzi d luce per gli inserti metallici degli elmi, ora opachi. L'abbigliamento e le fisionomie denunciano il ruolo e il peso morale dei personaggi: la serena immobilità del santo con gli occhi sbarrati in un'impassibile compostezza, il corpo statuario a contraddire l'età nel classico concetto della bellezza che si equivale alla grandezza morale, di contro i due carnefici dal volto oscurato dalla massa compatta dei capelli a negarne l'umanità, il cui ruolo subalterno è sottolineato dai farsetti attillati e dalle calze che comunque evidenziano l'anatomia e l'attenzione al dettaglio con il particolare degli aghetti e delle brache in vista. 

Un modello iconografico è stato riconosciuto in una predella di Jacopo di Cione già nella chiesa di San Pier Maggiore a Firenze, (Pinacoteca Vaticana) mentre le piramidi erano già presenti, tra l'altro, nel Polittico Stefaneschi di Giotto (Pinacoteca Vaticana). La rigorosa costruzione prospettica, la luce, che dà concretezza e volume ad ogni singolo elemento collocato razionalmente seguendo un principio unitario, creano le condizioni affinchè ogni individuo viva come uomo con le sue caratteristiche etiche e sociali. 

 Testo di Giovanna Lazzi

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The panels with the predella with the Adoration of the Magi and the Marytrdom of Peter and John the Baptist were purchased in 1880 from the Capponi Collection in Florence. In the Altarpiece of Pisa, the Crucifixion stood on the left, beneath a lost panel with Saint Peter. 

The figure of the saint, his halo foreshortened by perspective, nailed to the cross, upside down in accordante with the traditional iconography, sets out the space and uses a play of constructive lines to capture one’s attention. Two side constructions, functioning as artchitectural wings, frame the scene like theatre periacts and allude to the Roman buildings traditionally linked to the martryrdom of Peter: the Pyramid of Caius Cestius and Meta Romuli, a pyramidal mausoleum, still existing in the XV century near the Vatican; a door in the background palace opens up and lengthens the space by creating the illusion of an interior with a dark mass. The aligned guards, their heads lowered, silent and almost ashamed in supporting the beseeching, half-hidden by their shields, were illuminated by shots of light and (now opaque) metallic helmet insertions. The clothing and physiognomies convey the role and moral weight of the characters: the serene motionlessness of the saint, his eyes wide in unshakeable self-control; his statuesque body contradicting the age in the classical concept of beauty as equivalent to moral greatness, as against the two executioners, their faces obscured by the compact mass of hair so as to deny their humanity, their subordinate role emphasised by their pointed doublets and stockings, though the details of the needles and slings stress anatomy and precision. 

An iconographic model has been identified in a predella of Jacopo di Cione, already in the Church of San Pier Maggiore at Florenze (Pinacoteca Vaticana), while the pyramids were previously present in Giotto’s Stefaneschi Triptych (Pinacoteca Vaticana) and elsewhere. The rigorous perspective construction and light give concreteness and volume to every single element placed rationally and following a unifying principle, creating the conditions for each individual to live as a man with his ethical and social characteristics. 

 Text by Giovanna Lazzi

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CrocifissioneCrucifixion

MasaccioMasaccioMasaccio

L'opera, acquistata nel 1901 dalla proprietà De Simone, nel 1906 fu identificata da Suida come scomparto centrale del registro superiore del polittico di Pisa, posta a circa cinque metri di altezza. La scena è ridotta all’essenziale, nell'assoluta concentrazione sull’evento tutto umano dove ogni figura vive la sua individualità pur se inserita con precisione geometrica nello spazio in virtù di solide linee costruttive che si dipartono dai bracci della croce, sostanziata dal colore che la isola dal fondo d'oro e ne plasma ruolo e psicologia. Consapevole della relatività dell’immagine, diversa a seconda del punto di vista, Masaccio rappresentò il corpo di Cristo violentemente scorciato dal basso, con la testa affondata nelle spalle, segno del dolore della morte ma anche visto dall'occhio dello spettatore. La tipologia riprende il Cristo dolente, di lontana tradizione rinnovata, però, dal concetto tutto umano del'400. Il volto bruno esprime l'angoscia del momento supremo quando affida la Madre a San Giovanni ricordando il passo dell’Apocalisse “Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio”. Dopo il restauro del 1956 l'albero è tornato visibile al sommo della croce grazie alla rimozione del cartiglio con l’I.N.R.I., dovuto ad una ridipintura seicentesca. 

La Madonna è chiusa nella massa pesante come pietra del mantello, dolorosa come in una lauda, con le mani contratte, quasi un segno dello strazio contenuto con severa dignità mentre il giovane discepolo si piega su sé stesso come incapace di sopportare il dolore e la fatica della sua missione. A raccordare i due irrompe la straordinaria Maddalena inginocchiata di schiena, di cui non si vede il volto ma solo la massa bionda dei capelli sparsa sul mantello rosso squillante come un grido incontenibile. Le braccia spalancate, che danno il tono della sacra rappresentazione, timbrano tutta la scena con la loro incredibile potenza, evocando l'antico pianto funebre della tradizione mediterranea, tutto declinato al femminile. Roberto Longhi la considerava leggermente posteriore come farebbe pensare l'aureola senza decorazioni, che si sistemavano prima della pittura della tavola; si tratterebbe quasi di una variante psicologica e di un ulteriore elemento di equilibrio strutturale. Senza nulla perdere del valore simbolico del messaggio divino, Masaccio trasporta la scena sacra nella realtà di un mondo di uomini, consapevoli di sé e del proprio destino.

 Testo di Giovanna Lazzi

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This work was purchased from the property of De Simone in 1901, and identified by Suida in 1906 as the central part of the upper register of the Pisa Polyptych, placed around five metres high. The scene is reduced to the essentials, completely concentrating on the fully human event, in which each figures lives its individually despite being inserted into space with geometric precision, by virtue of the  solid construction lines that depart from the arms of the cross, made substantial by the colour isolating it from the gold background and forms its role and psychology. Aware of the relativity of the image, varying depending on the point of view, Masaccio depicted the body of Christ violently foreshortened from below, His head collapsed into His shoulders, a sign of the pain of death but seen from the viewer’s eye too. The typology uses the traditional figure of the Suffering Christ but renews it with the totally human concept of the 1400’s. The brown face conveys the anguish of the utmost moment when he entrusts His Mother to Saint John, recalling the passage from the Apocalypse: “To him that overcometh will I give to eat of the tree of life, which is in the Paradise of God”. Restoration in 1956 removed the inscription with INRI, from 17th-century repainting, and made the tree at the top of the Cross visible again. 

The Madonna is closed in the mass of her cloak, heavy as stone, and in anguished as in worship, her hands clasped, almost a sign of distress withheld by severe dignity, while the young disciple curls upon himself, as if unable to bear the pain and burden of his mission. The extraordinary Mary Magdalene bursts forth to join them, kneeling from behind, showing not her face but only the blonde mass of hair spread across her red cloak, vibrant as if with an uncontainable shriek. Her open arms set the tone of the sacred portrayal and tinge the whole scene with their incredible power, evoking the ancient funeral wail of the Mediterranean tradition, declined by women alone. Roberto Longhi considered it slightly earlier, pointing to the halo without decorations, which were set up before the panel was painted; this is almost a psychological variation and further element of structural balance. Maintaining the symbolic value of the divine message intact, Masaccio brings the holy scene into the reality of a world of men, aware of themselves and their destiny.

 Text by Giovanna Lazzi

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Madonna del solleticoMadonna with ChildVierge à l'Enfant

MasaccioMasaccioMasaccio

Commissionata dal colto e raffinato giurista senese Antonio Casini, cardinale nel 1426, il cui stemma è dipinto sul retro, la tavoletta, proprio per le sue ridotte dimensioni, ha avuto una storia travagliata. Nel 1947 Rodolfo Siviero la riportò in Italia tra i capolavori trafugati dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, fu esposta nella collezione Loeser a Palazzo Vecchio, di nuovo rubata nel 1971 e ritrovata ancora da Siviero due anni dopo, dal 1988 è conservata agli Uffizi.

Ascritta a Masaccio nel 1950 da Roberto Longhi che notava come «il gruppo divino sembra quasi muoversi e passare», dopo la monografia di Berti (1954), l'attribuzione è comunemente accolta. La Madonna tiene in braccio il Bambino in fasce e con la destra lo benedice alzando due dita, ma il gesto si trasforma in un solletico tanto che il piccolo ride e afferra il polso della madre, che, pur tenerissima, rimane pensosa non nascondendo la consapevolezza del destino. Alla morte violenta allude anche il corallo al collo di Gesù, che durante il gioco si è spostato di lato, cogliendo l'attimo come un fotogramma. Secondo la tradizione pagana i rametti appuntiti infilzavano il malocchio, mentre per i cristiani il rosso rimanda al sangue della passione, riassumendo la doppia natura di Cristo: divina e umana. La Vergine è rappresentata secondo la tradizione: il manto azzurro scuro bordato d’oro, pesante e prezioso anche in virtù della citazione dall'Oriente nella decorazione, la tunica rossa, l’aureola dei santi. Se il fondo oro obbedisce ai canoni tradizionali, la composizione è completamente rinnovata: i protagonisti ruotati di tre quarti e decentrati sono colti nel momento del loro incontro, anche le aureole s’incastrano l’una nell’altra a suggerire l’idea di piani spaziali diversi e la luce illumina alcune parti lasciando i volti in ombra. L'iconografia piuttosto insolita è giustificata dalla committenza privata che consente maggiore libertà espressiva e Masaccio riesce a cogliere la naturalezza e la semplicità di un momento domestico e intimo traducendo un'immagine usuale in una scena di forte impatto emotivo, straordinaria per l'epoca. La nuova visione dell'umanità rivoluziona anche il rapporto con il divino così che la Madonna è madre terrena senza nulla perdere della sua santità. 

Testo di Giovanna Lazzi

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Commissioned by the cultured, refined Siena jurist Antonio Casini, Cardinal in 1426, whose coat of arms lies on the back, this panel has had a troubled history due to its small size. In 1947 Rodolfo Siviero brought it back to Italy among the masterpieces looted by Germans during the Second World War; it was displayed in the Loeser collection at Palazzo Vecchio, stolen again in 1971, rediscovered by Siviero years later, and has been kept at the Uffizi since 1988. It was ascribed to Masaccio in 1950 by Roberto Longhi, who noted how «the divine group almost seems to move and pass», and since Berti’s 1954 monograph, the attribution has been commonly accepted.

The Madonna holds in her arms the Child in swaddling clothes, blessing Him by raising two fingers of her right hand, but the gesture turns into a tickle so that the baby laughs and grasps the wrist of His mother, who becomes thoughtful and displays awareness of His destiny despite her tenderness. The coral on the neck of Jesus, who has moved to the side in play, seizing the moment as in a frame, also alludes to violent death. According to pagan tradition, pointed twigs pierced the Evil Eye, while for Christians, red refers to the blood of the Passion, bringing together Christ’s double nature: divine and human. The portrayal of the Virgin is traditional: the dark, gold-trimmed cloak, heavy and precious, not least due to its decorated Eastern quotation, red tunic and saints’ halo. If the golden background follows traditional models, the composition is completely renewed: the subjects are turned three-quarters, decentralised and caught at the moment of meeting; the halos are also set on top of each other to suggest the idea of different spatial levels and the light illuminates some parts, leaving the faces in shadow. The rather unusual iconography is justified by the private commission, allowing greater expressive freedom, and Masaccio succeeds in grasping the naturalness and simplicity of a domestic, intimate moment, turning a common image into a scene of great emotional impact, extraordinary for the period. The new vision of humanity also revolutionises the relationship with the divine, so that the Madonna is an earthly mother without forsaking her holiness. 

Text by Giovanna Lazzi

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Attribuée à Masaccio en 1950 par Roberto Longhi qui remarquait la manière dont « le groupe divin semble presque se mouvoir et passer », après la monographie de Berti (1954), lattribution est communément acceptée. La Vierge tient dans ses bras lEnfant en couches et de la droite elle le bénit en levant deux doigts, mais le geste se transforme en un chatouillis, au point que le petit rit et saisit le poignet de sa mère qui, bien que très tendre, reste pensive en ne cachant pas sa conscience du destin. Même le corail au cou de Jésus, qui au cours du jeu sest déplacé sur le côté, saisissant linstant comme un photogramme, fait allusion à la mort. La Vierge est représentée comme le veut la tradition : le manteau bleu foncé bordé dor, pesant et précieux du fait également de la référence orientale dans la décoration, la tunique rouge et lauréole des saints. Si larrière-plan or obéit aux canons traditionnels, la composition est complètement renouvelé: les protagonistes tournés de trois-quarts et décentrés sont saisis dans linstant de leur rencontre, et même les auréoles semboîtent lune dans lautre comme pour suggérer lidée de plans différents dans lespace, et la lumière illumine certaines parties laissant dans lombre les visages. Liconographie plutôt insolite est justifiée par la commande privée qui permet davantage de liberté expressive et Masaccio réussit à saisir le naturel et la simplicité dun moment domestique et intime en traduisant une image usuelle en une scène, extraordinaire pour l’époque, dont limpact émotif est fort. La nouvelle vision de lhumanité révolutionne également le rapport au divin de sorte que la Vierge est une mère terrestre sans rien perdre de sa sainteté.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Madonna BerensonMadonna BerensonMadonna Berenson

Domenico VenezianoDomenico Veneziano

La pala con la dolcissima Madonna prende il nome da Bernard Berenson che l’acquistò all’asta come proveniente dalla famiglia Panciatichi. È databile intorno al 1432, dopo la prima esperienza fiorentina di Domenico Veneziano alla scuola di Gentile da Fabriano tra il 1422 e il 1423, quella romana segnata dai contatti con Pisanello ma anche dagli incontri con Masolino e, probabilmente, con Masaccio che lavoravano a San Clemente, e il successivo rientro a Firenze intorno al 1432. La conoscenza della pittura fiamminga,prima e le diversificate esperienze successive costituiscono la base del suo stile così raffinato, elegante e delicato eppure solido.

Maria è una giovane dama che offre una piccola pera al figlio, roseo e paffuto, nudo, seduto su un cuscino. Il volto delicato della Madonna acquista una tenera luce rosata dallo sfavillare dell'oro della veste, dove si nota il motivo broccato della melagrana, così amato dalle classi agiate dell'epoca, che torna, stilizzato, nel parato di velluto che costituisce il fondale, in uno sfoggio di sontuosa eleganza. La purezza dei tratti, plasmati da una luce chiarissima, non contraddicono la regalità della Madonna ma al contempo la rendono madre affettuosa e umana, calata in una quotidianità di tenerezza e amore. Se la ricchezza delle stoffe e dell'abito conserva la preziosità della pittura "tardogotica" alla maniera di Gentile da Fabriano, tuttavia i protagonisti si accampano sicuri nello spazio, con il gioco sapiente delle aureole in prospettiva, frutto dell'incontro con la pittura fiorentina. Ma è soprattutto la luce che plasma il corpo, fa scintillare l'oro che fa risplendere le figure, accende il rosso del drappo e lo riflette sulle guance, illumina persino il velo leggerissimo sul biondo dei capelli. I colori chiarissimi, impregnati di luce, diventano un segno distintivo della pittura di Domenico, motivo ispiratore per artisti come Piero della Francesca, Andrea del Castagno, Antonio e Piero del Pollaiolo.

Un toccante dettaglio iconografico segna il gioco di gesti e il rapporto tra madre e figlio e ricorda la loro missione. Maria porge al piccolo Gesù la pera, simbolo dell'amore di Dio che chiede al figlio il sacrificio supremo per la redenzione dal peccato degli uomini, alluso, nell'iconografia tradizionale, dalla mela del serpente tentatore. L'accettazione del frutto è quindi l'allusione all'accettazione del sacrificio. La madre benevola offre il Figlio per la salvezza di tutti i suoi figli.

Testo di Giovanna Lazzi

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The panel with this sweet Madonna takes its name from Bernard Berenson, who bought it from an auction as part of the Panciatichi family. It can be dated at around 1432, after Domenico Veneziano's first Florentine experience at the School of Gentile da Fabriano between 1422 and 1423; the Roman one, characterised by contact with Pisanello, but also meetings with Masolino and probably with Masaccio, who was working at San Clemente; and the following return to Florence around 1432. Initial awareness of Flemish painting and various later experiences form the basis of his highly refined, elegant, delicate yet solid style.

Mary is a young lady offering a small pearl to her son, who is sitting on a cushion, rosy, plump and nude. The delicate face of the Madonna acquires soft rosy light from the gold that bursts from her clothing, where we see the brocade motif of the pomegranate, so beloved by the upper classes of the period and returning, in stylised form, in the velvet vestment that forms the background, in sumptuously elegant bursts. The purity of the features, moulded by clear light, does not contradict the Madonna's regality but at the same time makes her an affectionate, human mother, placed in tender, loving everyday life. If the richness of the materials and clothing maintains the preciousness of 'late Gothic' painting in the manner of Gentile da Fabriano, the main characters are still located securely in space, with the wise play of the haloes in perspective, fruit of encounters with Florentine painting. But it is mainly the light that forms the body, make the gold sparkle as it shines on the figures, lights up the red of the drapes and reflects it onto the cheeks, and even illuminates the light veil on the blonde hair. The clear colours, shot with light, become a distinguishing feature of Domenico's painting, an inspiring motif for artists such as Piero della Francesca, Andrea del Castagno, Antonio and Piero del Pollaiolo.

A touching iconographic detail marks the play of gestures and the mother-son relationship, recalling their mission. Mary hands baby Jesus the pear, a symbol of the love of God who requests of His son the ultimate sacrifice so as to redeem mankind from sin, alluded to in traditional iconography by the tempting serpent. Accepting the fruit is then a reference to accepting sacrifice. The benevolent mother offers her Son so as to save all her sons.

Text by Giovanna Lazzi

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Le retable à la Vierge d’une douceur infinie doit son nom italien (Madonna Berenson) à Bernard Berenson qui en fit l’acquisition aux enchères comme provenant de la famille Panciatichi. On date cette œuvre aux environs de 1432, après la première expérience florentine de Domenico Veneziano à l’école de Gentile da Fabriano, et après l’expérience romaine marquée par ses contacts avec Pisanello, mais également ses rencontres avec Masolino, et vraisemblablement avec Masaccio, qui travaillent à Saint-Clément. La connaissance de la peinture flamande, dans un premier temps, puis les expériences très diverses qui s’enchaînent constituent la base de son style extrêmement raffiné, élégant et délicat, mais dans le même temps solide.

Marie est une jeune dame qui offre une petite poire à son fils, rosé et joufflu, nu, assis sur un coussin. Le visage délicat de la Vierge s’anime d’une tendre lumière rosée issue du chatoiement des ors de sa robe, où l’on remarque sur le brocart le motif de la grenade, si prisé des classes aisées de l’époque, qui revient, stylisé, sur la tenture de velours qui constitue l'arrière-plan, dans un somptueux déploiement d’élégance. Si la richesse des étoffes et de la robe conserve le caractère précieux de la peinture "tardo-gothique" à la manière de Gentile da Fabriano, les protagonistes occupent cependant l’espace avec assurance, grâce au jeu savant des auréoles en perspective, fruit de la rencontre avec la peinture florentine.

Mais c’est surtout la lumière qui modèle le corps, fait scintiller l’or sous lequel resplendissent les personnages, embrase le rouge du drap et le reflète sur les joues, illumine jusqu’au voile extrêmement léger reposant sur la blondeur des cheveux. Les couleurs très claires, imprégnées de lumière, deviennent le signe distinctif de la peinture de Domenico, source d’inspiration pour des artistes comme Piero della Francesca, Andrea del Castagno, Antonio et Piero del Pollaiolo. Un touchant détail iconographique marque le jeu de gestes et le rapport mère-fils en leur rappelant leur mission.Marie tend au petit Jésus la poire, symbole de l’amour de Dieu qui demande à son fils le sacrifice suprême pour la rédemption du péché des hommes, rappelée, dans l’iconographie traditionnelle, par la pomme du serpent tentateur. L’acceptation du fruit est donc une allusion à l’acceptation du sacrifice. La mère bienveillante offre son Fils pour le salut de tous ses enfants.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Madonna col BambinoMadonna and ChildVierge à l'Enfant

Giovanni BelliniGiovanni BelliniGiovanni Bellini

Il dipinto è un raffinatissimo olio su tavola, appartenente alle collezioni della Galleria Borghese di Roma, realizzato intorno al 1510 dal grande maestro veneziano Giovanni Bellini. Si tratta di un’opera della maturità belliniana, destinata alla devozione privata e centrata su un soggetto più volte rielaborato dall’artista. Il gruppo della Vergine a mezza figura con il Bambino in grembo si staglia su un fondale caratterizzato da un tendaggio verde e da un frammento di paesaggio collinare di sorprendente intonazione lirica. Nel quadro colpisce la capacità dell’artista di penetrare l’intimità dei sentimenti attraverso gli sguardi sfuggenti e i volti delle figure che esprimono una malinconica dolcezza da intendere, forse, come un presagio della Passione e del Sacrificio di Cristo. L’uso sapiente e innovativo della luce fa spiccare l’esile sagoma dell’albero a destra, la purezza degli incarnati, del velo indossato dalla Madonna, delle nuvole che solcano il cielo terso. L’opera è realizzata mediante la tecnica della pittura a olio, una scelta distintiva dell’attività dell’artista, conseguente alla conoscenza della pittura fiamminga e al passaggio a Venezia, intorno alla metà degli anni Settanta, del siciliano Antonello da Messina. 

Testo di Maria Teresa Tancredi 

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This painting is a refined oil on panel, belonging to the Galleria Borghese, Rome, collections, and made around 1510 by the great Venetian master Giovanni Bellini. It is a work of Bellini’s maturity, designed for private devotion and focused on a subject the artist often reworked. The group of the half-figure Virgin with the Child on her lap stands out against a background characterised by green backdrop a fragment of hilly landscape of surprising lyrical intonation. The viewer is struck by the artist’s ability to penetrate the intimacy of feelings through the elusive glances and faces of the figures, who express a melancholic sweetness that may be considered to foresee the Passion and Sacrifice of Christ. The wise, innovative use of light brings out the slim silhouette of the tree to the right, and the purity of the subjects, the veil worn by the Madonna and the clouds furrowing the terse sky. The work is made with the oil painting technique, a distinctive choice for the artist’s activity, following his awareness of Fleming painting and the Sicilian Antonello da Messina’s stay at Venice around the mid-70s.

Text by Maria Teresa Tancredi  

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Cette peinture est une huile sur panneau d’un grand raffinement, appartenant aux collections de la Galerie Borghèse de Rome, réalisée autour de 1510 par le grand maître vénitien Giovanni Bellini. Il s’agit d’une œuvre de la maturité, destinée à la dévotion privée et centrée sur un sujet plusieurs fois réélaboré par l’artiste. Le groupe de la Vierge en demi-figure, portant son enfant contre elle, se détache sur un arrière-plan caractérisé par une tenture verte et un fragment de paysage de collines d’une surprenante tonalité lyrique. Dans ce tableau, ce qui frappe, c’est la capacité de l’artiste à pénétrer l’intimité des sentiments à travers les regards fuyants et les visages des figures qui expriment une douceur mélancolique qu’il faut peut-être comprendre comme un présage de la Passion et du Sacrifice du Christ. L’utilisation savante et innovante de la lumière fait ressortir la silhouette fuselée de l’arbre à droite, la pureté des carnations, du voile porté par la Madone, des nuages qui sillonnent le ciel clair. L’œuvre a été réalisée en utilisant la technique de la peinture à l’huile, un choix distinctif dans l’activité de l’artiste qui résulte de sa connaissance de la peinture flamande et du passage à Venise, vers la moitié des années soixante-dix, du Sicilien Antonello de Messine.

Texte de Maria Teresa Tancredi

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Flagellazione di CristoFlagellation of ChristFlagellation du Christ

Piero della FrancescaPiero della FrancescaPiero della Francesca

La firma “Opus Petri de Burgo Sancti Sepulcri”, che riferisce la paternità della tavola a Piero della Francesca, è l’unico dato certo di un’opera estremamente enigmatica che ha affascinato e intrigato studiosi di ogni sorta. Niente si sa della commissione o della destinazione originale del dipinto, registrato tuttavia in un inventario settecentesco dei beni del Duomo di Urbino. Danneggiato da tre lunghe fenditure orizzontali e da alcune cadute di colore, fu sottoposto già da Giovan Battista Cavalcaselle dopo il 1870 ad un complesso restauro, ma l’eccessiva pulitura rimosse la scritta "Convenerunt in unum", che non si trova più citata nelle fonti dopo il 1863. Nel 1916 l'opera venne definitivamente trasferita a Palazzo Ducale, da dove fu rubata il 6 febbraio del 1975 e poi recuperata a Locarno il 22 marzo dell'anno successivo.

In assenza di documenti, la datazione attribuita oscilla dal 1444 (Longhi) al 1472 (Battisti). Il carattere albertiano dell'architettura induce a collocarla dopo il 1447 (inizio del tempio Malatestiano), attorno al 1458-1459, subito dopo il viaggio dell’artista a Roma, ma vicina anche al grande ciclo affrescato a Arezzo per le connotazioni delle architetture e di talune fisionomie. La tavola raffigura la Flagellazione, una scena abbastanza comune nelle predelle o nei cicli della vita di Cristo, più rara da sola; è impostata tridimensionalmente secondo leggi geometrico-matematiche con l'uso del rapporto aureo nel proporzionare le due metà, in maniera non casuale ma anche con valenze allegorico-simboliche. Piero probabilmente si avvalse di uno sviluppo in pianta e in alzato del dipinto, come si era soliti fare per le costruzioni architettoniche reali. Le relazioni spaziali tra le figure generano quindi una simmetria non immediatamente percepibile e i due gruppi principali si appoggiano su due quadrati del pavimento di medesime dimensioni, che si controbilanciano. Il punto focale è il cerchio nero schiacciato in prospettiva sotto la figura di Cristo, inscritto in un quadrato - testimonianza matematica della sua natura divina - alludendo al problema della quadratura del cerchio, caro alla geometria antica, che Piero affrontò nel suo Libellus de quinque corporibus regularibus.

Tutti i tentativi di interpretazione si incentrano sul gruppo delle tre figure a destra, e in particolare sul giovane biondo dagli occhi sbarrati al centro, identificato per lungo tempo con Oddantonio, il fratellastro e predecessore di Federico da Montefeltro, ucciso appena diciassettenne in una congiura il 22 luglio 1444. Già Kenneth Clark, con ampio seguito di critica, aveva collegato l’opera alla caduta di Costantinopoli (1453) e alle sue conseguenze. Silvia Ronchey (2006) vi legge l’allusione al Concilio di Mantova del 1459, ricordato dalla frase Convenerunt in unum, promosso da Pio II per organizzare una crociata antiturca dietro suggerimento di Bessarione, il dotto bizantino che aprì il Concilio di Ferrara e Firenze del 1438-1439 per la riunificazione delle chiese orientale e occidentale. Cristo flagellato rappresenterebbe il sacrificio di Bisanzio, riconoscibile dalla colonna sormontata dalla statua di Costantino-Apollo-Heliòs che svettava nell'antico foro, nonché la sofferenza di tutti i cristiani per mano degli infedeli. Ponzio Pilato ha le sembianze dell'Imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo venuto in Italia per il concilio del 1439, effigiato, tra l’altro, in una splendida medaglia di Pisanello, che costituisce una sorta di modello, che nel 1453 non fece nulla per difendere la città martire. L’opera sarebbe stata quindi realizzata intorno al 1460-61. Le tre figure sulla destra rappresenterebbero Bessarione, Tommaso Paleologo fratello dell'Imperatore, con la veste porpora dell’imperatore bizantino ma scalzo perché esiliato, e Niccolò III d'Este. Per Carlo Ginzburg la figura di destra sarebbe Giovanni Bacci, committente degli affreschi di Arezzo, e il giovane Bonconte II da Montefeltro, amatissimo figlio naturale di Federico, legittimato nel 1458 e morto di peste alla fine di luglio del 1458.

Dalle radiografie si è scoperto che Piero dedicò particolare cura al turbante, disegnato a parte e poi riportato sulla base preparatoria tramite un piccolo cartone su cui eseguì lo spolvero, per garantire un’assoluta precisione. L’attenzione ai dettagli dimostra la cura estrema del pittore nella costruzione di una tavola che incanta non solo in virtù del messaggio che racchiude, ancora non definitivamente svelato, ma per il rigore compositivo, la luce zenitale straordinaria che varia i punti di vista, la purezza matematica delle proporzioni, il senso di perfezione assoluta.

Testo di Giovanna Lazzi

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The signature “Opus Petri de Burgo Sancti Sepulcri”, which refers authorship to Piero della Francesca, is the only certain fact in this extremely enigmatic work, which has fascinated and intrigued scholars of all kinds. Nothing is known of the commission or cause of this painting, though it was listed in an 18th-century inventary of Urbino Cathedral possessions. Damaged by three long, horizontal slits and several drops in colour, it was already subjected to complex restoration by Giovan Battista Cavalcaselle after 1870, but the excessive cleaning removed the text "Convenerunt in unum", which was not quoted in any source after 1863. In 1916 the work was definitively transferred to Palazzo Ducale, whence it was stolen on 6 February 1975; it was recovered at Locarno on 22 March of the following year. In the absence of documents, the dating attributed oscillates from 1444 (Longhi) to 1472 (Battisti). The Albertian characture of the achitecture leads to collocation after 1447 (start of the Malatesta Temple), around 1458-1459, immediately after the artist’s journey to Rome, but also near the great fresco cycle at Arezzo, due to connotations of architecture and certain facial features.

The panel portrays the Flagellation, quite a common scene in predellas or cycles of the Life of Christ, but rarer alone; it is set up three-dimensionally according to geometrical-matematical rules, using the gold relationship to proportion the two halves, in a way that is not casual but allegorically and symbolically relevant. Piero probably made use of plan and raised development for this painting, as he would usually do for royal architectural constructions. The spatial relationships between the figures thus generate symmetry that is not immediately apparent, and the two main groups rest on two average-sized floor squares, which balance each other. The main focus is the black, flattened circle in perspective below the figure of Christ, inscribed in a square, which mathematically testifies to its divine nature and alludes to the problem of squaring the circle, dear to ancient geometry, and considered by Piero in his Libellus de quinque corporibus regularibus.

All attempts at interpretation revolve around the group of three figures on the right, in particular the blond, wide-eyed youth in the centre, long identified as Oddantonio, stepbrother and predecessor of Federico da Montefeltro, killed at just seventeen in a conspiracy on 22 July 1444. Kenneth Clark already placed the work at the fall of Costantinople (1453) and its conseguences, and many critics followed him. Silvia Ronchey (2006) read an allusion to the Council of Mantova in 1459, recalled by the phrase Convenerunt in unum, promoted by Pius II to organise an anti-Turk crusade at the behest of Bessarion, the Byzantine scholar who opened the Council of Ferrara and Florence, 1438 - 1439, to reunify Eastern and Western churches. The flagellated Christ could represent the sacrifice of Byzantium, reconognisable from the column topped by the staue of Constantine-Apollo-Heliòs that rose in the ancient forum, as well as the suffering of all Christians at the hands of infidels. Pontius Pilate looks like the Byzantine Emperor John VIII Palaiologus, who came to Italy for the Council of 1439, portrayed in, amongst other things, a splendid medal of Pisanello, constituting a sort of model, who did nothing in 1453 to defend the martyr city. The work was, then, created around 1460-61. The three figures on the right are Bessarion, Thomas Palaiologus (the Emperor’s brother, in the Byzantine Emperor’s purple clothes, but barefoot due to exile), and Niccolò III d'Este. For Carlo Ginzburg the figure on the right is Giovanni Bacci, commissoner of the Arezzo frescoes, and young Bonconte II da Montefeltro, Federico’s adored natural son, made legitimate in 1458 and dying of the plague at the end of July 1458.

X-rays prove that Piero dedicated particular care to the turban, drawn separately and then brought back to its preparatory basis via a small cartoon which he then dusted off, to guarantee full precision. The attention to detail demonstrates the painter’s extreme care in constructing a panel that enchants both by virtue of its - still not definitively revealed - message, and due to its compositional rigour, the extraordinary Zenithal light that varies the viewpoints, the mathematcal purity of the proportions and the sense of absolute perfection.

Text by Giovanna Lazzi

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La signature “Opus Petri de Burgo Sancti Sepulcri”, qui atteste l’attribution de la tempera sur bois à Piero della Francesca, est le seul élément certain d’une œuvre extrêmement énigmatique qui a fasciné et intrigué les spécialistes de toute sorte. On ne sait rien de la commande ou de la destination originelle de la peinture, qui fut toutefois enregistrée dans un inventaire du XVIIIe siècle des biens du Duomo d’Urbino. En l’absence de documents, la datation oscille entre 1444 (Longhi) et 1472 (Battisti). 

La tempera sur bois représente la Flagellation, une scène assez commune dans les prédelles ou les cycles de la vie du Christ, mais qu’on trouve plus rarement seule. Cette scène est définie de manière tridimensionnelle selon des lois géométriques et mathématiques grâce à l’utilisation du ratio d’or dans la mise en proportion des deux moitiés, de manière non aléatoire, mais en ayant aussi recours à des valeurs allégoriques et symboliques. Piero della Francesca a probablement utilisé un développement en plan et en élévation de la peinture, comme c’était l’usage pour les constructions architecturales royales. Les relations spatiales entre les figures génèrent ainsi une symétrie qui n’est pas immédiatement perceptible et les deux groupes principaux reposent sur deux carrés du dallage de dimensions égales qui s’équilibrent. Le point focal est le cercle noir écrasé par la perspective sous la figure du Christ, inscrit dans un carré (témoignage mathématique de sa nature divine) en faisant allusion au problème de la quadrature du cercle, que Piero della Francesca affronta dans son “Libellus de quinque corporibus regularibus”.
Toutes les tentatives d’interprétation se concentrent sur le groupe des trois figures à droite, et en particulier sur le jeune homme blond aux yeux écarquillés qui en occupe le centre et qui a longtemps été identifié avec Oddantonio, le demi-frère et prédécesseur de Federico da Montefeltro, tué alors qu’il avait tout juste dix-sept ans dans une conjuration, le 22 juillet 1444. Kenneth Clark avait déjà relié cette œuvre à la chute de Constantinople (1453) et à ses conséquences, interprétation largement suivie par la critique. Les radiographies ont permis de découvrir que Piero della Francesca consacra un soin particulier au turban, dessiné à part puis reporté sur la base préparatoire à l’aide d’un petit carton sur lequel il effectua le dépoussiérage, pour garantir une précision absolue. L’attention aux détails démontre le soin extrême du peintre dans la construction d’une tempera sur bois qui émerveille, non seulement eu égard au message qu’elle renferme, et qui n’a pas encore été définitivement dévoilé, mais pour la rigueur de sa composition, la lumière zénithale extraordinaire qui diversifie les points de vue, la pureté mathématique de ses proportions, son sens de la perfection absolue.
 

Interprète de son temps, humanisant les faits sacrés tout en essayant de les comprendre, avec une liberté pleine d’audace, et après avoir éliminé les modes byzantins répétés pendant trop longtemps et jusqu’à l’épuisement, Giotto s'affirme comme un peintre « moderne » qui restera un point de référence non seulement pour le style, mais surtout pour l’interprétation, comme l’avait très justement souligné Cennino Cennini : « Il changea l’art de peindre du grec en latin, et en vint au moderne : il obtint l’art le plus accompli que personne n’eut jamais plu ».

Texte de Giovanna Lazzi 

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AnnunciazioneAnnunciationAnnonciation

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Sintesi della lezione appresa da Leonardo nella bottega di Andrea del Verrocchio, maestro dell’artista a Firenze, l’opera, destinata al refettorio della chiesa fiorentina di San Bartolomeo a Monte Oliveto, è concepita per una collocazione all'interno di una copertura lignea della parete, come in uso nelle case dell'epoca, motivo delle presunte incongruenze spaziali-compositive sempre denunciate dalla critica. Nell’insieme colpiscono i motivi ornamentali del leggìo a sinistra della Vergine, desunti dal sarcofago (1472) della tomba di Giovanni e Piero de’ Medici (Firenze, San Lorenzo, Sacrestia Vecchia) realizzato dall’officina verrochiesca: elementi indiziari di una cronologia assestabile tra il 1472-73. L’atmosferica trasparenza del paesaggio roccioso al centro del fondo è precoce attestazione delle sperimentazioni prospettiche caratterizzanti i successivi capolavori leonardeschi. 

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

APPROFONDIMENTO

Leonardo si allontanò dall'iconografia tradizionale del tema dell'Annunciazione ambientando la scena in un giardino invece che in un luogo chiuso come voleva la tradizione medievale, in allusione al concepimento di Maria. La purezza della Vergine è allusa anche dal giglio che Gabriele le porge, secondo la tradizione, e ancora a lei, madre di Cristo e emblema della Chiesa, sono associati i cipressi che svettano sul fondo, in virtù della caratteristica di crescere allungati verso il cielo. E infine la conchiglia che sormonta il festone con foglie, frutta e fiori, è uno dei simboli mariani, legati alla coltissima concezione neoplatonica della Venere Urania, l'Afrodite celeste, la madre universale, che mediante l'amore purificato conduce l'uomo alla catarsi. I consueti canoni iconografici sono rispettati dalla collocazione l'Angelo a sinistra e della Madonna a destra, ma l'espediente di porre la figura femminile in un angolo consente di intravedere lo spazio interno della camera da letto. Un muretto che delimita il giardino si apre un passaggio verso l'ampio scorcio di paesaggio, un fiume con anse e barche, montagne punteggiate da torri e alberi. La scena si svolge dunque in uno spazio riservato e discreto ma non chiuso in quanto l'apertura al mondo naturale sembra voler sottolineare come il miracolo dell'Incarnazione divina coinvolga l'intero creato. I fiori del prato e tutte le altre specie vegetali appaiono studiati dal vero, con precisione lenticolare botanica, con attenzione da scienziato e sono solo in parte riconducibili a influssi fiamminghi. La luce è chiarissima, mattutina, e ammorbidisce i contorni delle figure, mentre l'impostazione spaziale è resa piuttosto dal digradare progressivo dei colori, soprattutto nello sfondo già immerso nella foschia dello "sfumato". In alcuni punti si possono addirittura notare le impronte digitali dell'artista, che talvolta stemperava il colore con i polpastrelli, come si riscontra sulle foglie dei festoni alla base del leggio e sulle dita della mano destra della Vergine. Il nitido rigore della prospettiva geometrica rimane nei dettagli architettonici, le proporzioni dell'edificio - una costruzione civile dai muri intonacati - del pavimento e del leggio, con un punto di fuga al centro della tavola. Lo spazio è, quindi, costruito con la luce mentre il colore rende l’atmosfera, le tinte azzurre creano la profondità, i colori chiari e freddi la lontananza i caldi il primo piano. Il candore del guarnello, la tipica veste degli angeli, si illumina del rosso del mantello soppannato da quel verde della speranza e la semplice gonnella cinta di Maria concede alla moda solo il taglio delle maniche da cui si intravede la camicia. L'incarnato dell'angelo è pallido e piatto molto diverso da quello del Battesimo di Cristo mentre la Madonna appare compostamente assorta nell'accettazione della sua missione, che sancisce con il gesto della mano aperta mentre l'altra è poggiata sulla Bibbia, aperta ad un passo di Isaia in greco e appoggiata su un velo meraviglioso, impalpabile nella sua sorprendente trasparenza. La scena sacra, tante volte ripetuta, assume un sapore particolare alla luce dell'insegnamento umanistico: l'incarnazione assicura la redenzione in un mondo però dove l'uomo vive in simbiosi con la natura, dove l'ordine assicura la calma, dove l'interno si apre all'esterno, dove tutto fluisce secondo regole precise e dove la ragione prevale sulla forza perché, come dice Leonardo nel Trattato della pittura, dove "manca la ragione suppliscono le grida".

Testo di Giovanna Lazzi    

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Synthesis of the lessons learnt by Leonardo in the workshop of Andrea Verrocchio, the artist’s Florence master, this work was designed for the refectory of the Florentine Church of San Bartholomew at Monte Oliveto. It was conceived to be placed in wooden wall covering above, which explains the alleged incongruences in space and composition that critics have always pointed out. Overall, one is struck by the ornamental motifs on the lectern to the Virgin's left, gleaned from the sarcophagus of the tomb of Giovanni and Piero de’ Medici (Florence, San Lorenzo, Sacrestia Vecchia), made by Verrochio's laboratory. The atmospheric transparency of the rocky landscape mid-background is a precocious attestation of the perspective experimentations that would characterise future Leonardo masterpieces.

Text by Maria Teresa Tancredi

 

IN-DEPHT

Leonardo moved away from the traditional iconography of the theme of the Annunciation, setting the scene in a garden rather than the closed area in Medieval convention, a hortus conclusus, alluding to the conception of Mary. There is further reference to her purity in the lily that Gabriel hands her, in accordance with tradition, and the cypresses soaring in the background are also associated with her as mother of Christ and emblem of the church, in that they grow up towards the sky. Further, the shell surmounting the garland with its leaves, fruit and flowers is one of the symbols of Mary, linked to the cultured Neo-Platonic conception of Venus Urania, celestial Aphrodite, the universal mother, who leads man to catharsis through purified love. The usual iconographical canons are respected by placing the Angel to the left  and the Madonna to the right, but the expedient of positioning the female figure in a corner reveals the space inside the bedroom. The wall bordering the garden opens up a wide view of the landscape, including a river with curves and boats, and mountains dotted with towers and trees. So the scene is played out in an area that is reserved and discrete but not closed, as the opening to the natural world may highlight how the miracle of the divine Incarnation involves all creation. The flowers on the meadow and all the other vegetable species seemed to have been studied in reality, with a precise botanical lens and scientific interest, and can only partly be attributed to Flemish influence. The clear, morning light softens the figures’ borders, while the spatial setting is dominated by the progressive fading of colour, especially in the background, which is already immersed in the "sfumato" mist. Some elements actually reveal the fingerprints of the artist, who sometimes tempered the colours with his fingertips, as shown by the garland leaves at the base of the lectern and the fingers of the Virgin’s right hand. The sharp rigour of geometrical perspective remains in the architectural details, the proportions of the floor, the building – a civilian construction with plastered walls – and the lectern, with a vanishing point at the centre of the table. The space is, then, formed with light, while colour fashions atmosphere, with depth created by the blue tints create depth, distance by the clear, cold colours, and the foreground by the cold colours. Light bounces off the wall, illuminating the characters’ faces and hair and modelling the architectural elements and the flowing drapery of the dresses in their classical cadences. The white of the fringe, the typical angel’s attire, is brightened by the red of the cloak, underlain by the green of hope and Mary’s simple girded skirt concedes to fashion only the cut of the sleeve, showing her blouse. The incarnation of the angel is pale and flat, quite unlike the one in the Baptism of Christ, while the Madonna appears composed, absorbed in accepting her mission, which she seals by opening one hand, as the other is placed on the Bible, displaying a passage from Isaiah, symbolising the truthfulness of Scripture, protected, in a mark of sacred respect, by the wondrous veil, impalpable in its surprising transparency. The Madonna appears composed, absorbed in accepting her mission, which she seals by opening one hand, as the other is placed on the Bible, displaying a passage from Isaiah, symbolising the truthfulness of Scripture, protected, in a mark of sacred respect, by the wondrous veil, impalpable in its surprising transparency. This oft-repeated holy scene takes on peculiar style in the light of humanistic teaching: the incarnation ensures redemption in a word where man lives in symbiosis with nature, order guarantees calm, the internal opens to the external, everything flows according to precise rules, and reason prevails over force because, as Leonardo wrote in the Treatise on Painting, “where reason fails, cries beseech".

Text by Giovanna Lazzi

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Synthèse de lenseignement tiré par Léonard de latelier dAndrea del Verrocchio, maître de lartiste à Florence, l’œuvre, destinée au réfectoire de l’église florentine de San Bartolomeo à Monte Oliveto, est conçue pour être placée à lintérieur dun revêtement mural en bois, selon lusage dans les demeures de l’époque, ce qui expliquerait les présumées incongruences spatiales dans la composition que la critique a toujours dénoncées.

Léonard s’éloigna de liconographie traditionnelle du thème de lAnnonciation en situant la scène dans un jardin plutôt que dans un lieu clos comme le voulait la tradition médiévale, en référence à la conception de Marie. La pureté de la Vierge est également suggérée par le lys que Gabriel lui tend, selon la tradition, et cest encore à elle, mère du Christ et emblème de lEglise, que sont associés les cyprès qui se dressent en arrière-plan, eu égard à leur particularité de pousser allongés vers le ciel. Enfin le coquillage qui surmonte le feston orné de feuilles, fruits et fleurs, est un symbole marial, lié à la très savante conception néoplatonicienne de la Vénus Uranie, lAphrodite céleste, la mère universelle, qui grâce à lamour purifié conduit lhomme à la catharsis. Les canons iconographiques habituels sont respectés par la position de lAnge à gauche et de la Madone à droite, mais lexpédient consistant à placer le personnage féminin dans un coin permet dentrevoir lespace intérieur de la chambre à coucher. Un muret qui délimite le jardin ouvre un passage vers la vue étendue du paysage, un fleuve avec ses anses et des barques, des montagnes ponctuées de tours et darbres. La scène se déroule donc dans un espace réservé et discret mais pas fermé dans la mesure où louverture sur le monde naturel semble vouloir souligner la manière dont le miracle de lIncarnation divine implique la totalité de la création. Les fleurs du pré et toutes les autres espèces végétales apparaissent étudiées daprès la réalité, avec une précision botanique lenticulaire, une attention de scientifique et ne sont quen partie attribuables aux influences flamandes. La lumière est très claire, matinale, et adoucit les contours des personnages, tandis que la disposition de lespace est plutôt rendue par le dégradé progressif des couleurs, surtout pour larrière-plan déplongé dans la brume du sfumato. A certains endroits on peut même remarquer les empreintes digitales de lartiste, qui parfois délayait la couleur du bout des doigts, comme on le retrouve sur les feuilles des festons à la base du pupitre et sur les doigts de la main droite de la Vierge. La rigueur nette de la perspective géométrique réside dans les détails architecturaux, les proportions de l’édifice – une construction civile aux murs enduits du dallage et du pupitre, avec le point de fuite au centre du panneau. Lespace se construit donc avec la lumière tandis que la couleur rend latmosphère, les teintes azurées créent la profondeur, les couleurs claires et froides le lointain et les couleurs chaudes le premier plan. La candeur du guarnello, le vêtement caractéristique des anges, sillumine du rouge du manteau doublé de ce vert de lespoir et la simple jupe avec ceinture de Marie ne concède à la mode que louverture dans les manches à travers laquelle on aperçoit la chemise. La carnation de lange est pâle et plate, bien différente du Baptême du Christ, tandis que la Madone apparaît sobrement absorbée dans lacceptation de sa mission, quelle approuve dun geste de sa main ouverte quand lautre est posée sur la Bible, ouverte sur un passage dIsaïe en grec et reposant sur un voile merveilleux, impalpable dans sa surprenante transparence.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Pala di Bosco ai FratiAltarpiece of Bosco ai Frati

Beato AngelicoBeato Angelico

La pala per l'altare maggiore del convento francescano del Bosco ai Frati, sotto il patronato di Cosimo de' Medici fin dal 1420, venne dipinta dall'Angelico dopo il suo rientro da Roma, dal 1450, come testimonia la presenza di san Bernardino in uno scomparto della predella, canonizzato solo in quell'anno. Rinnovando il suo antico legame con i Medici, l'Angelico torna a lavorare con Michelozzo artefice del progetto della chiesa, per l’ultima sua impresa su tavola, prima di partire per Roma dove morì nel 1455. Lo spazio è delimitato da una parete in cui si aprono profonde nicchie con un bel gioco di prospettiva e chiaroscuro e, come in molti esempi dell'epoca, costruisce una chiusura al mondo esterno, alluso tuttavia da un folto bosco in cui si distinguono le palme, a ricordo della passione di Cristo. La nicchia profonda con volta a conchiglia, altro simbolo mariano, incornicia la Madonna seduta su un pancale marmoreo coperto da un drappo e un ampio cuscino. L'oro di ricordo bizantino del tendaggio pendente dietro la Vergine e dei tessuti della seduta, unito all'azzurro preziosissimo dell'abito e dell'avvolgente mantello di Maria, conferisce un tocco di potente regalità alla delicata figura, che appare così un'icona smaltata quasi fatta di pietra dura. Il tenero nudo di Gesù unisce alle caratteristiche del putto classico un atteggiamento dolcemente umano nel rapporto affettuoso con la madre, con un sottile richiamo simbolico alla sua missione nella piccola melagrana, il frutto indicatore del dualismo vita/morte nel mito greco di Persefone (che doveva trascorrere sei mesi all'anno col marito Ade nel regno dei morti per aver mangiato sei semi di melagrana), segno dunque di fertilità della madre terra ma, nel versante cristiano, anche allusione al martirio della croce per il rosso sangue dei chicchi. I tre santi a sinistra (sant'Antonio da Padova, san Ludovico di Tolosa in abito vescovile, san Francesco) appartengono all'ordine francescano, Cosma e Damiano, famosi taumaturghi, erano protettori dei Medici, san Pietro Martire, domenicano come l'Angelico vuole sottolineare l'amicizia tra i due ordini mendicanti.  Il recente restauro ha riportato a splendere l'oro zecchino e la polvere di lapislazzuli della varietà più pregiata, proveniente dall’attuale Afghanistan, che testimoniano la volontà di magnificenza del committente, senza annullare la semplicità francescana dell'insieme, ove si intravedono convergenze con la coeva pittura fiamminga.

Testo di Giovanna Lazzi

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The piece for the largest altar in the Franciscan Convent Bosco ai Frati, under the patronage of Cosimo de' Medici until 1420, was painted by Angelico after his return from Rome, in 1450, as is demonstrated by the presence of Saint Bernardino, canonised only in that year, in a section of the dais. Renewing his previous ties with the Medici, Angelico went back to working with Michelozzo, architect of the church project, for his final work on panel, before leaving for Rome, where he would die in 1455. The space is delimited by a wall in which deep recesses open, with a fine play of perspective and chiaroscuro, and, as in many examples from the period, it forms an opening onto the outer world, alluded to by thick woods in which palms may be distinguished, recalling the Passion of Christ. The deep recess with its shelled vault, another symbol of Mary, frames the Madonna as she sits on a marble bench covered by a drape and a broad cushion. The Byzantine-recalling gold of the curtain hanging behind the Virgin and the textile of the chair, along with the precious blue of Mary’s clothes and the cloak wrapping round her, confer a touch of powerful regality onto the delicate figure, who thus appears as an enamelled icon, almost made of hard stone. The tender nude of Jesus adds to the features of the classical cherub an attitude that is sweetly human in the affectionate relationship with the mother, with a subtle symbolic reference to His mission in the small pomegranate, the fruit indicating the dualism of life and death in the Greek myth of Persephone (who had to spend six months a year with her husband Hades in the kingdom of the dead for eating six pomegranate seeds), a sign, then, of the fertility of the mother earth - but also, in the Christian perspective, an allusion to martyrdom on the Cross through the red colour of the seeds. The three saints on the left (Saint Anthony of Padua, Saint Louis of Toulouse in his episcopal gown, Saint Francis) belong to the Franciscan order; Cosmas and Damian, famous miracle-workers, were protectors of the Medici; Saint Peter the Martyr, Dominican like Angelico, aims to underline the friendship between the two Mendicant orders. Recent restoration has returned the shine to the pure gold leaf and the dust of the lapis lazuli of the most prized variety, from what is now Afghanistan, so as to demonstrate the commissioner’s desire for magnificence, without wiping out the Franciscan simplicity of the whole, in which convergence with Flemish painting of the period may be espied.

Text by Giovanna Lazzi 

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San SebastianoSaint SebastianSaint Sébastien

Andrea MantegnaAndrea MantegnaAndrea Mantegna

Sebastiano è un santo molto amato dagli artisti, che lo rappresentano volentieri per la possibilità di indulgere sulle forme di un corpo nudo e splendido, ma anche dalla venerazione popolare, come protettore contro la peste in relazione al martirio delle frecce, simbolo dei portatori di contagio. Mantegna meditò più volte sul tema realizzando ben tre versioni in momenti diversi, quasi a scandire i passaggi del tempo nella sua vita: in gioventù, nella maturità e infine prossimo alla morte. La redazione oggi a Vienna, la prima, viene collocata dalla maggior parte della critica durante la permanenza dell'artista a Padova, che lasciò nel 1460 per trasferirsi a Mantova. L'erudita firma in greco (TO.EPΓON.TOY.ANΔPEΟY, Opera di Andrea) appare come un intrigante legame con la dotta città universitaria, dove infuriò una violenta pestilenza nel 1456-1457, ulteriore nesso con la figura del santo, rappresentato nudo a parte il complesso panneggio del perizoma, dall'anatomia in risalto, studiata su modelli statuari classici, il volto appena stravolto dal dolore, comunque bellissimo, quasi efebico. L'antiquaria, che tanto appassionava il grande pittore, è ampiamente citata con precisione da studioso e da collezionista quale era Andrea, un saggio di bravura che si dispiega nella colonna di marmo mischio, la trabeazione con i bassorilievi, il pilastro con una perfetta candelabra, i resti "archeologici". Nell'inusuale cavaliere nella nuvola è stata proposta un'allusione all'Apocalisse, quindi al flagello della peste sconfitta dalla protezione del santo. Dopo la riflessione sul più pausato San Sebastiano del Louvre, dove si accentuano i caratteri della sacralità e della fermezza nell'affrontare il martirio, l'artista ormai anziano si cimenta ancora nell'amato soggetto (Venezia, Ca'd'oro) con un senso di accorato pessimismo per la fine incombente, allusa dalla candela spenta, e una forza interiore titanica data dalla fede, come suggerisce la scritta Nil nisi divinum stabile est caetera fumus ("Niente è permanente se non divino. Il resto è solo fumo"). Siamo lontani dalla prima prova già bellissima, intrisa di cultura e di simboli, ma anche piena di pathos, capace di suscitare la commossa devozione "popolare", con la forza del sentimento che suscita il giovane splendente di bellezza e di dolore, e di evocare la cultura umanistica con le citazioni archeologiche. In questa piccola tavola l'ancor giovane maestro realizza la sintesi concettuale tra antico e moderno, mostrando le contiguità e le differenze tra la tradizione classica e il messaggio cristiano. Il suo linguaggio visivo riesce a fondere il rigore compositivo con la resa cromatica, dosata da sapienti passaggi di luce, grazie alla solida base delle molteplici esperienze artistiche, maturate già nella bottega dello Squarcione, dove aveva imparato la prospettiva dei toscani, qui mirabilmente orchestrata nella scacchiera del pavimento che ci porta alla mente Piero della Francesca ma anche Donatello che proprio a Padova lavorò dal 1443 al 1453.

Testo di Giovanna Lazzi

Sebastian is a saint much loved by artists, who welcome the opportunity he provides for indulging in forms of a splendid nude body; but he is also popularly venerated, as a protector against the plague, relating to the martyrdom of arrows, symbol of the bearers of contagion. Mantegna considered the theme several times, creating no fewer than three versions at different moments, almost as if to mark the passing of time throughout his life: in youth, in maturity and finally when approaching death. Most critics locate the one currently at Vienna, the artist’s first, during his stay at Padova, which he left in 1460 so as to move to Mantua. The erudite Greek signature (TO.EPΓON.TOY.ANΔPEΟY, Work by Andrea) appears as an intriguing link with the learned university city, where violent pestilence was raging in 1456-1457: a further connection with the figure of the saint, portrayed nude apart from the complex drape of the loincloth; Andrea enhances the anatomy, which is studied according to classical statue models, while the face is agonised by pain, yet beautiful, almost ephebic. The great painter was deeply inspired by antiquity, drawing on it with the precision of the scholar and collector he was, creating a case study in excellence that spreads through the column of inlaid marble, the trabeation with its bas relief, the pillar with a perfect candelabra, and the "archaeological" remains. An allusion to the Apocalypse, hence the scourge of the plague defeated by the protection of the saint, has been suggested in the unusual knight in the cloud. After reflection on the less energetic Louvre Saint Sebastian, which emphasises the characteristics of sacredness and resoluteness in facing martyrdom, the now elderly artist returns to his beloved subject (Venezia, Ca'd'oro), with a sense of accurate pessimism towards his impending doom, alluded to by the extinguished candle, and a titanic inner force provided by faith, as is suggested by the text Nil nisi divinum stabile est caetera fumus ("Nothing is permanent if not divine. The rest is only smoke"). We are far from the - already beautiful - first experiment, rich in culture and symbols, but also full of pathos, able to bring out affected "popular" devotion, with the force of feeling aroused by the youth who shines with handsomeness and pain, and to evoke humanistic culture with the archaeological references. In this small panel, the still young master creates a conceptual synthesis of antique and modern, showing the similarities and differences between the classical tradition and the Christian message. The visual language succeeds in fusing compositional rigour with chromatic rendering, measured by wise passages of light, due to the solid base of his manifold artistic experiences, already matured in the studio of Squarcione, where he had learned the perspective of the Tuscans, wondrously orchestrated here in the chessboard of the floor, which brings to mind Piero della Francesca, but also Donatello, who was working at Padova itself from 1443 to 1453.

Text by Giovanna Lazzi

San SebastianoSaint Sebastian

Antonello da MessinaAntonello da MessinaAntonello de Messine

Intorno al 1478 Antonello dipinse il San Sebastiano per il primo altare della veneziana Confraternita di San Rocco, fondata nel 1478, quando infuriava una grave pestilenza. Raffigurato giovane e prestante, il santo domina la scena, legato ad un albero, al centro di una piazza inquadrata da edifici veneziani che, scorciati in prospettiva, esaltano la monumentalità della figura, grazie anche al punto di vista ribassato. Si curva leggermente verso destra, trapassato da cinque frecce, nudo, se si eccettua il dettaglio delle mutande secondo l’uso del tempo, aderenti ad accentuare lo statuario corpo marmoreo, accarezzato da una morbidezza cromatica memore di Giovanni Bellini, con l’attenzione ai dettagli anatomici, consentiti dalle rare possibilità di rappresentare il nudo nelle scene sacre e tanto cari all’Umanesimo. La spettacolarità dello sfondo, che chiude lo sguardo come una quinta scenica, con la doppia arcata da cui si nota l’acqua della laguna e l’insorgenza dei caseggiati contro l’azzurro del cielo, si anima nelle figure immerse in occupazioni quotidiane, scene "di genere” in un contesto urbano riconoscibile. Antonello ambienta il martirio in un tempo ordinario, in uno spazio misurabile in cui l’episodio sacro, attualizzato nel presente, consente la comprensione del mistero della santità e accresce la devozione. Il magistero di Andrea Mantegna con le sue soluzioni rigorose ma ardite (Cristo, Milano, Pinacoteca di Brera) e le sue sperimentazioni illusionistiche (Cappella Ovetari della Chiesa degli Eremitani di Padova) offriva un esempio di coinvolgimento emotivo dello spettatore, come qui le frecce non unicamente simbolo di martirio ma causa di devota partecipazione. L’attenzione ai dettagli di vita quotidiana, con un naturalismo in debito con la conoscenza dei fiamminghi, dai quali l’artista trae anche l’uso della tecnica a olio, è contraddetta dall’albero, del tutto improbabile, che sbuca dal pavimento in prospettiva, memore, come l’intera impaginazione in sezione aurea, di Piero della Francesca. La composizione è articolata su rapporti matematici, rigorosa per l’uso iterato della sezione aurea, ma la luce, che accarezza le forme e le scolpisce, inserisce la chiarezza geometrica nella realtà naturale, in armonico rapporto con l’umanità. L’uso sapiente e quasi spregiudicato della luce intrigano lo spettatore a partecipare emotivamente al pathos del martire, che si ritaglia uno spazio solitario contro la normalità della vita, al di sopra e al di fuori della misura naturale dello spazio e del tempo, umano nel corpo ferito ma spirituale nell’espressione depurata del volto, appena malinconica ma non sofferente, una mirabile sintesi tra umano e divino, realtà sublimata e realtà vissuta. 

Testo di Giovanna Lazzi

Around 1478 Antonello painted the Saint Sebastian for the first altar of the Venice San Rocco Confraternity, founded in 1478, when a serious plague was raging. Portrayed as young and handsome, the saint dominates the scene, tied to a tree, at the centre of a square framed by Venetian buildings which, shortened in perspective, bring out the monumentality of the figure, due to the lowered point of view. He slightly curves to the right, pierced by five arrows. excepting the detail of the underwear in accordance with the custom of the time, adhering so as to stress the statuesque marble body, caressed by chromatic softness recalling Giovanni Bellini, with attention to anatomical details, consented by the rare possibility of portraying the nude in holy scenes, so dear to Humanis,. The spectacularity of the background, which closes one's view like a fifth backdrop, with the double arcade showing the water of the lagoon and the emergence of houses against the blue of the sky, is animated in the figures immersed in everyday occupations, "genere” scenes in a recognisable urban conext. Antonello sets the martyr in ordinary time, in measurable space where the holy episode, made current and present, consents understanding of the la mystery of holiness and increases devotion. The masterfulness of Andrea Mantegna - with his rigorous but daring solutions (Christ, Milan, Pinacoteca di Brera) and illusionistic experiments (Cappella Ovetari della Chiesa degli Eremitani, Padoa) offered an example of the viewer's emotional involvement, such as the arrows here: not only a symbol of martyrdom, but also cause for devoted participation. Attention to the details of everyday life, with naturalism due to awareness of Flemish painters, from whom the artist also derives the use of oil techniques, is contradicted by the rather unlikely tree that shoots forth from the perspective floor, recalling - like the whole layout in the golden section - Piero della Francesca. The composition is articulated on mathematical relations, rigorous due to the iterated use of the gold section, but the light, caressing and sculpting the forms, inserts geometrical clarity into natural reality, in harmonious relationship with humanity. The wise, almost unscrupulous use of light intrigues the viewer and makes him emotionally part of the pathos of the martyr, who is brought out in uno solitary space against the normality of life, above and beyond the natural measure of space and time, human in his wounded body but spiritual in the purified expression of the face, just melancholic but not suffering, an admirable synthesis of human and divine, sublimed reality and lived reality.

Text by Giovanna Lazzi

Lamento sul Cristo mortoDead ChristChrist mort

Andrea MantegnaAndrea MantegnaAndrea Mantegna

Opera celeberrima di Andrea Mantegna, oggetto di ampia fortuna, ritrovata – dopo la morte dell’artista – nel suo studio a Mantova, la città dei marchesi Gonzaga dei quale il maestro diviene pittore di corte nel 1460. Il dipinto, realizzato intorno al 1478, stupisce per la superba inquadratura ravvicinata e l’ardita visione di scorcio del corpo morto di Cristo che è allungato su una lastra marmorea corrispondente forse alla reliquia dell’unzione venerata, un tempo, a Costantinopoli. L’opera si segnala inoltre per l’accentuata espressività impressa alla figurazione attraverso il concorso di differenti elementi: la bassa intonazione cromatica; l’uso della luce finalizzato ad accrescere la tragicità dell’evento; l’incisività del disegno; la fredda durezza del marmo;le pieghe taglienti del lenzuolo; i fori prodotti dai chiodi; i piedi di Cristo che, in primo piano e oltrepassando la lastra funeraria, mediante un sapiente espediente illusionistico-prospettico, sembrano fuoriuscire dallo spazio del dipinto e invadere quello dell’osservatore, coinvolgendolo nel dramma raffigurato; i volti della Madonna e di San Giovanni segnati, corrugati e stravolti dal dolore; le realistiche lacrime che entrambi – inconsolabili – stanno versando; la bocca urlante della Maddalena che si dispera nell’ombra. Un ulteriore aspetto che concorre a rimarcare l’originalità dell’opera è l’adozione, dal punto di vista esecutivo, della tecnica della tempera a colla, un agglutinante del colore – quest’ultimo – di origine animale utilizzato in sostituzione dell’uovo per ottenere effetti di opaca luminosità.

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

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This renowned work by Andrea Mantegna enjoyed great fortune following its discovery after the artist’s death in his studio at Mantoa, the city of the Marquis Gonzaga, whose court painter the master became in 1460. Made around 1478, the painting strikes one with its haughty, close-up frame and the audacious shortened vision of the dead body of Christ, lain on a marble slab that may correspond to the relics of the unction once venerated at Constantinople. It is further marked by the highlighted expressiveness impressed onto the figuration by three different, battling elements: the low chromatic intonation; the use of light to heighten the tragic event; the incisiveness of the drawing; the marble’s cold hardness; the sheet’s cutting folds; the holes made by the nails; the feet of Christ which, in close-up and going over the funeral slab, seem through a wise illusionist-perspective expedient to overpass the painting space and invade the observer’s, involving him in the drama depicted; the faces of the Madonna and Saint John, marked, wrinkled and overwhelmed by pain; the realist tears they are both unconsolably shedding; Magdalen’s screaming mouth disappearing into the shade. A further aspect competing to stress the originality of the work is the executive use of the tempera a colla technique, an animal-derived colour binder employed instead of egg to obtain opaque lighting effects.

Text by Maria Teresa Tancredi

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L’œuvre très cébre dAndrea Mantegna, objet dun large succès, retrouvée – après la mort de lartiste dans son cabinet à Mantoue, ville des marquis Gonzague desquels le maître devint peintre de cour en 1460. Cette peinture, réalisée autour de 1478, étonne par son superbe plan rapproché et son audacieuse vision condensée du corps mort du Christ, allongé sur une plaque de marbre correspondant peut-être à la relique de lonction vénéré, autrefois, à Constantinople. L’œuvre se démarque en outre par l'expressivité très marquée imprimée à la figuration par le concours de différents éléments : la tonalité chromatique basse, lutilisation de la lumière ayant pour but daugmenter le tragique de l’événement, le dessin incisif, la dureté froide du marbre, les plis coupants du drap, les trous produits par les clous, les pieds du Christ lesquels, au premier plan et dépassant de la plaque funéraire, grâce à un savant expédient dillusion de perspective, semblent déborder de lespace du tableau et envahir celui de lobservateur, limpliquant dans le drame représenté, les visages de la Vierge et de Saint Jean marqués, plissés et ravagés par la douleur, les larmes réalistes que tous deux versent, inconsolables, la bouche hurlante de Madeleine qui se désespère dans lombre. Un dernier aspect qui contribue à sarrêter encore sur loriginalité de l’œuvre est ladoption, du point de vue de lexécution, de la technique de la tempéra à la colle, un agglutinant pour la couleur, dorigine animale, utilisé en remplacement de l’œuf pour obtenir des effets de luminosité opaque.

Texte de Maria Teresa Tancredi

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Adorazione dei MagiAdoration of the Magi

Sandro BotticelliSandro BotticelliSandro Botticelli

Il dipinto fu commissionato dal banchiere Gaspare di Zanobi del Lama, in omaggio ad uno dei Magi di cui portava il nome, per decorare la propria cappella nella chiesa di Santa Maria Novella, secondo l'uso di devolvere una parte dei guadagni in opere d'arte dedicate ai santi protettori per redimersi dal peccato di usura legato alla professione. Dopo varie vicende la pala passò a Flavio Mondragone, istruttore di Francesco I de' Medici, e dopo la confisca dei suoi beni per tradimento, finì nelle raccolte granducali. Botticelli introdusse una grande novità nella notissima iconografia ponendo la Sacra Famiglia al centro e non ad una estremità e i Magi quasi in forma di corteo, memore della cavalcata che si teneva per le strade di Firenze nel giorno dell'Epifania, organizzata dalla Compagnia dei Magi, patrocinata dai Medici. La Vergine col Bambino, vegliata da dietro da san Giuseppe, si trova al vertice di un triangolo a cui mirano le linee prospettiche delle quinte laterali e lo scalare dei personaggi. Nei Magi, che rappresentano le tre età dell'uomo (gioventù, maturità e anzianità) si riconoscono Cosimo il Vecchio come Melchiorre a cui, come capo della casata, spetta l'onore di portare per primo omaggio a Gesù, e i suoi figli Piero il Gottoso e Giovanni come Gaspare e Baldassarre. Scendendo rigorosamente la linea dinastica ecco Lorenzo e all'estrema sinistra il fratello Giuliano, a cui si appoggia Angelo Poliziano, sotto lo sguardo di Pico della Mirandola. Il committente si trova in posizione defilata nel gruppo di destra, vestito di azzurro. Nel giovane in primo piano che guarda verso lo spettatore, è stato individuato l'autoritratto dell'artista. Il pavone simbolo di immortalità, poiché le sue carni erano ritenute incorruttibili, sigilla le allusioni dello sfondo ove il tempio che crolla rappresenta il mondo antico e la fine del paganesimo e la Natività l'avvento della nuova religione, il futuro dell'umanità, in ricordo anche della Legenda Aurea, secondo cui la Sibilla predisse a Augusto l'arrivo di un nuovo re. Nel 1473 Botticelli entrò al servizio dei Medici e divenne un eccezionale interprete della loro propaganda politica. Se quindi l'iconografia obbedisce a intenti celebrativi con la galleria dei ritratti dei signori che, rendendo omaggio alla divinità, vengono legittimati del loro potere, il nuovo schema conosce un immediato successo e viene ripreso abbastanza fedelmente da Filippino Lippi (Uffizi) e da Leonardo, che nella tavola per il monastero di San Donato a Scopeto (Uffizi), ripetendo lo schema botticelliano, si fermò a cogliere le reazioni degli astanti, stupiti dal prodigio del Bambino benedicente. E proprio a lui guarda in seguito Sandro nell'ultima delle diverse prove su un tema a lui carissimo (Uffizi), riprendendo il turbinoso movimento della folla, le emozioni dei volti e dei gesti, gli accenni a conflitti tra cavalieri e perfino tra i loro cavalli e chiudendo così un lungo dialogo tra artisti formati nella medesima bottega eppure tanto diversi.

Testo di Giovanna Lazzi

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The painting was commissioned by the banker Gaspare di Zanobi del Lama, in homage to one of the Magi whose name he bore, to decorate his chapel in Santa Maria Novella Church, in accordance with the tradition of devolving part of the earnings into works of art dedicated to patron saints to be redeemed from the sin of usury linked to their profession. After various vicissitudes, the panel passed to Flavio Mondragone, Francesco I de' Medici’s instructor, and following the confiscation of his possessions for betrayal, it reached the Grand Duke collections. Botticelli made a great innovation into famed iconography by placing the Holy Family in the centre rather than at an edge, and the Magi in quasi-cortège form, in memory of the horse ride held through the streets of Venice on the day of the Epiphany, organised by the Company of the Magi, patronised by the Medici. The Virgin with child, watched by Saint Joseph from behind, lies at the top of a triangle, pointed to by the prospective lines of the side wings or the rising characters. In the Magi, representing the three ages of man (youth, maturity and old age) we recognise Cosimo the Elder as Melchior, who, as head of the house, has the honour of being the first to bring homage to Jesus, and his sons Piero the Gouty and Giovanni as Gaspar and Balthasar. Rigorously following the dynastic line, there is Lorenzo and at the far left his brother Giuliano, with Angelo Poliziano leaning on him under the gaze of Pico della Mirandola. The commissioner stands in a secluded position in the group on the right, dressed in blue. A self-portrait of the artist has been found in the youth looking to the viewer from the foreground. The peacock, which symbolises immortality, as its flesh was considered incorruptible, seals the allusions in the background, where the collapsing temple represents the ancient world and the end of paganism, the Nativity the advent of the new religion, the future of humanity, also in memory of the Golden Legend, according to which the Sibyl predicted to Augustus the arrival of a new king. In 1473 Botticelli entered the Medici’s service and became an exceptional interpreter of their political propaganda. If, then, the iconography obeys the celebratory intent with the gallery of portraits of gentlemen who pay homage to the divinity to make their power legitimate, the new scheme enjoyed immediate success and was quite faithfully taken up by Filippino Lippi (Uffizi) and Leonardo, who repeated Botticelli’s scheme in the panel for monastery of San Donato at Scopeto (Uffizi), stopping to grasp the reactions of those present, stunned by the prodigy of the blessing Child. And it is to him that Sandro later looks in the various experiments on a theme very dear to him (Uffizi), taking up the whirl of the crowd, the emotions of the faces and gestures, the hints of conflict among the knights and even their horses, this closing a long dialogue among artists trained in the same workshop yet so varied.

Text by Giovanna Lazzi

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Adorazione dei MagiAdoration of the Magi

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Nel 1481 i monaci di San Donato a Scopeto commissionarono a Leonardo un'Adorazione dei Magi da completare nel giro di due anni. L'artista studiò la composizione approntando vari disegni preparatori: uno generale, dove compare anche la capanna ora a Parigi; uno dello sfondo conservato a Firenze, e vari studi riconducibili alla zuffa di cavalli o alla posizione della Madonna e del Bambino. Nell'estate del 1482, però, partì per Milano, lasciando l'opera incompiuta. La tavola di Leonardo era rimasta allo stato di abbozzo in casa di Amerigo de' Benci, dove la vide Vasari. Nel 1601 si trovava nelle raccolte di don Antonio de' Medici e, dopo la morte di suo figlio Giulio, nel 1670, approdò alle Gallerie fiorentine.

E’ stata restaurata tra il 2011 e la fine di marzo 2017. 

APPROFONDIMENTO:

La forma pressoché quadrata permise all'artista di organizzare la composizione lungo le direttrici diagonali, con il centro nel punto di incontro dove si trova la testa della Vergine, che, collocata in posizione leggermente arretrata, accenna un movimento rotatorio, diffuso in cerchi concentrici, come effetto del propagarsi della rivelazione divina.  Le figure sacre sono al centro e i Magi alla base di un'ideale piramide che ha come vertice la figura di Maria, come nell'Adorazione dei Magi di Sandro Botticelli del 1475.

Il corteo si dispone teatralmente a semicerchio dietro la Madonna, bellissima e dolcemente assorta, avvolta nel viluppo dei panneggi e velata dal benduccio delle donne maritate. Ella è perno di tutta l'azione che si sviluppa concitata e dinamica nelle figure studiate nelle loro manifestazioni fisiche e psicologiche, un'umanità variegata dove talvolta i volti scheletrici sembrano frutto di studi anatomici.

Lo sfondo è diviso in due parti da due alberi: la palma, segno della passione di Cristo, e l'alloro simbolo di resurrezione, che alcuni hanno inteso come un carrubo, tradizionalmente associato al Battista identificabile nel personaggio, confuso nella agitata massa anonima degli astanti, con il dito levato nel “gesto di Giovanni”. 

Le architetture in rovina sullo sfondo rimandano al Tempio di Gerusalemme, segno del declino dell'Ebraismo e del Paganesimo, alluso anche dalla lotta dei cavalli. Nell'edificio con le scale è stata riconosciuta la citazione del presbiterio della chiesa di San Miniato al Monte o della Villa medicea di Poggio a Caiano allora in costruzione; le piante nate in disordine suggeriscono l'abbandono di edifici invasi dalla vegetazione per l'incuria e la devastazione. 

Gli armati in lotta cieca sui cavalli che s'impennano vanno letti come simbolo della follia degli uomini che non hanno ancora ricevuto il messaggio cristiano. Il giovane a destra che guarda verso l'esterno, forse un autoritratto, è stato messo in relazione con il personaggio meditabondo sul lato opposto, come invito a riflettere sul mistero dell'Incarnazione.

Leonardo riuscì a interpretare in modo particolare il tema dell'Adorazione dei Magi. Tema molto frequente nell'arte fiorentina del XV secolo non solo perché permetteva di inserire episodi e personaggi atti a celebrare la ricchezza e il potere dei committenti, ma anche perché ogni anno, per l'Epifania, si svolgeva “la Cavalcata” nelle strade cittadine che coinvolgeva le famiglie più in vista. 

Innanzitutto l'artista decise di raffigurare l'epifania, la "manifestazione" di Gesù, che, con il gesto di benedizione, rivela la sua natura divina agli astanti. La folla sconvolta si abbandona a manifestazioni di sorpresa e turbamento, ben lontane dalla usuale compostezza del corteo, pretesto di sfoggio di eleganza e agiatezza. La tavola rivela una globale assimilazione della pittura fiorentina contemporanea e della scultura classica nell’articolazione compositiva dello spazio, unificato dalla potenza del disegno e dalla luce avvolgente. L'opera si presenta oggi come un grandioso abbozzo, che permette di conoscere approfonditamente la tecnica usata da Leonardo che stendeva una base scura, dove necessario, a base di terre e verderame, di tinta marrone rossastra e di nero, lasciando invece visibile la preparazione chiara di fondo sui soggetti più illuminati.  

L'accurato restauro ha evidenziato le stesure non originali di vernice, colla, patinature sul supporto, costituito da dieci assi di pioppo che si è aperto provocando rotture sulla superficie. Soprattutto nella parte alta è emerso un accenno luminoso del colore del cielo rendendo percepibili a occhio nudo anziché solo in infrarosso le figure dei lavoratori intenti alla ricostruzione del Tempio, elemento iconologico di grande importanza, così come la zuffa di cavalli e figure umane sulla destra e lo sfondo che si apre su una visione prospettica ed atmosferica, sinora addirittura mascherata da una vera e propria patinatura che voleva conferire all’insieme l’aspetto di un monocromo. Inoltre, in modo inconsueto per il suo tempo e unico persino nella sua produzione artistica, Leonardo ha elaborato il disegno direttamente sulla tavola anziché su carta, come è evidente dai numerosissimi cambiamenti in corso d’opera oggi di nuovo visibili.

Testo di Giovanna Lazzi

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In 1481 the monks of San Donato a Scopeto commissioned an Adoration of the Magi of Leonardo, to be completed within two years. The artist studied the composition, producing several preparatory drawings: a general one, in which even the hut appears (Paris, Louvre, Cabinet des Dessins); one of the background (Florence, GDSU); and various studies that can lead back to the horses’ fight or the position of the Madonna and Child. But in the Summer of 1482, he departed for Milan, leaving the work incomplete. Leonardo’s panel remained, no more than a sketch, at the home Amerigo de' Benci, where it was seen by Vasari. In 1601 it was in the collections of don Antonio de' Medici, and, after the death of his son Giulio, in 1670, it reached the Florentine Galleries. In 1681, the sixteenth-century guild frame went missing, probably on the occasion of the painting’s transfer to Villa di Castello. Since 1794 it has been at the Museum definitively; it was restored between 2011 and late March 2017.

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The almost square form allowed the artist to organise the composition along diagonal vectors, its centre the meeting point with the head of the Virgin, which is placed slightly behind and hints at a rotating movement, spread into concentric circles, as a result of the propagation of the divine revelation. The sacred figures are at the centre and the Magi at the base of a pyramidal ideal whose vertex is the figure of Mary, as in Sandro Botticelli’s Adoration of the dei Magi (Florence, Uffizi, circa 1475).

The procession is played out in a semi-circle behind the Madonna, who is beautiful and sweetly engrossed, wrapped in the winding drapes and veiled by the sash of married women, the pivot of all the excited, dynamic action of the figures, studied in their physical and psychological physiognomy, a varied humanity where the skeletal faces sometimes appear as the fruit of anatomical study.

The background is divided into two parts by two trees: the palm, sign of the Passion of Christ, and the laurel, symbol of Resurrection, interpreted by some as a carob tree, traditionally associated with the Baptist that may be identified in the character, confused in the agitated anonymous mass, raising his finger in the “sign of Saint John”. The background architecture in ruins recall the Temple of Jerusalem, indicating the decline of Hebraism and Paganism, also alluded to by the fighting horses. The building with steps has been recognised as a reference to the presbitry of San Miniato al Monte Church, or the Medici Villa di Poggio at Caiano, then under construction; the disordered plants suggest the abandonment of buildings invaded by vegetation due to neglect and devastation.

The armed men combatting blindly on the rearing horses are read as a symbol of the folly of men who have not yet received the Christian message. The youth at the right, looking outwards, may be a self-portrait and has been related to the meditative character on the opposite side, as an invitation to reflect on the mystery of the Incarnation.

Leonardo gave a special interpretation to the theme of the Adoration of the Magi, so frequent in XV-century Florentine art, not only because it allowed artists to insert episodes and characters that would celebrate the richness and power of their commissioners, but also because every year the Epiphany saw the Horse Ride in the city streets, involving the most prominent families.

Most of all, the painter decided to depict the epiphany, the "manifestation" of Jesus, who reveals his divine nature to those present with his gesture of blessing. The bewildered crowd gives in to displays of surprise and perturbation, a far cry from the usual composure at court, a pretext to show off elegance and prosperity. The panel reveals global assimilation of contemporaneous Florentine painting and classical sculpture in the compositional articulation of space, unified by the power of the drawing and the gripping light.

Today, the work appears as a grandiose sketch, letting us know in depth the technique used by Leonardo as he set out a dark base of earth and verdigris, reddish brown and black tint, where necessary, but left the clear background preparation visible on the more illuminated subjects. Accurate restoration highlighted the unoriginal varnish, glue and gloss layouts on the support, made up of the ten poplar axes that opened up so as to cause surface breakage. In particular, the upper part revealed a bright hint of sky colour so that the naked eye – not only infrared rays – could perceive the figures of the workers intent on reconstructing the Temple, a highly important iconographic element, just like the horses’ fight and human figures on the right and the background opening up a prospective, atmospheric vision, thus far masked by out and out gloss that aimed to make the whole painting look monochrome.Further, in a manner unusual for the time and unique in even his artistic path, Leonardo worked the drawing out directly onto the panel rather than paper, as the numerous changes over the course of the work that we can now see make clear.

Text by Giovanna Lazzi

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Adorazione dei pastoriAdoration of the Shepherds

Andrea MantegnaAndrea MantegnaAndrea Mantegna

La scena è ambientata all'aperto, con la Madonna al centro che adora il Bambino inginocchiata su un gradino di pietra, mentre a sinistra san Giuseppe dorme e a destra due pastori si inarcano in preghiera. Il sonno di san Giuseppe, rappresentato in disparte, ricorda la sua funzione esclusivamente di custode della Vergine e del Bambino. Il colloquio tra Vergine e Bambino, circondati da angioletti che solennizzano l'evento, è caratterizzato da una notevole intimità. Gesù è sapientemente raffigurato di scorcio, un tipo di veduta virtuosistica che ricorre nella produzione di Mantegna. All'estremità sinistra si trova un giardino recintato (riferimento all'hortus conclusus che simboleggia la verginità di Maria), da cui si affaccia il bue, e alcune assi che fanno immaginare la capanna dove è avvenuta la natività. A destra è protagonista l'ampio paesaggio, che si apre in profondità, incorniciato da due montagne fatte di rocce a picco. In lontananza, a destra, si vedono altri pastori (uno sta accorrendo a rendere omaggio al Bambino) e un grande albero che sembra ricordare la forma della Croce del Calvario, presagendo la Passione di Cristo.

Fonte: Wikipedia

The scene is set in an open space, with the Madonna in the middle, adoring the Child while kneeling on a stony area within a crumbling wall, while to her right St. Joseph is sleeping, and to her left two shepherds pray. St. Joseph's sleep may hint at his role as mere guardian of the Virgin and the Child. The blasted tree on which he leans has born fruit on a single branch; the usual interpretation of this traditional feature is of the mystic renewal of Nature under the new dispensation. Jesus' three-quarters depiction is typical of Mantegna's production. Twelve cherubs, borne on a cloud, surround the Virgin and cradle the Child. Behind the Virgin, to the left, are depicted boards of the ruinous stable in which Jesus was born, according to tradition. On the right is a wide landscape, framed by two steep mountains. Two other shepherds are represented in the right background, and a third on the road next to the river, each one met by an angel (bearing the news). A big tree somewhat resembling the Calvary Cross presages Jesus' Passion. There is also an ox, a traditional mute witness of the Nativity. Faint traces of the traditional ass may be glimpsed in the darkness within the stable doorway. The prominent gourd hanging on the wattle fence is a Christian symbol representing the Resurrection and also referring to pilgrimage.

San Gerolamo e il leoneSaint Jerome and the Lion

ColantonioColantonio

La tavola, che costituiva la parte centrale di un grande retablo a due piani con pilastrini popolati dalle figure dei beati francescani, oggi dispersi fra varie collezioni private, destinata all’altare della chiesa di S. Lorenzo Maggiore, è attribuita a Colantonio, che operò a Napoli tra il 1440 e il 1470 circa. Era quella la fervida stagione di regno dell’ultimo sovrano angioino Renato (1438-42) e del primo sovrano aragonese Alfonso il Magnanimo (1442-58), quel periodo fecondo in cui a Napoli il realismo analitico, l'attenzione agli effetti ottici, l’imitazione fedele della natura propri della cultura fiamminga si incontrano con l'influsso catalano, in un clima di fecondi scambi culturali, ma anche commerciali e politici, tra il Nord Europa e l’Italia del Sud. Nell'opera sono, infatti, evidenti l’impianto di matrice franco-borgognona ispirata a  Jan van Eyck, ma anche ricordi del provenzale Barthélemy d’Eyck, che lavorò presso la corte aragonese fra il 1438 e il 1442. La Legenda Aurea, di Jacopo da Varazze, narra la storia del leone ferito curato da San Girolamo, nata come episodio della vita dell'anacoreta San Gerasimo, e con affinità con quella del romano Androclo. La scena si uniforma alla tradizionale rappresentazione del santo o del letterato nello studio, l'ambiente definito nei minimi dettagli che diventa un topos nella pittura e nella miniatura dell'epoca e fa da sfondo a studiosi laici e religiosi. La stanza è un luogo di lavoro, come dimostra il disordine apparente dei volumi e degli oggetti che servono allo studio e alla composizione dell'opera letteraria. La figura del santo, ammantata nei pesanti abiti francescani per far riconoscere subito l'ordine a cui la tavola era destinata, degna di rispetto e onore per la barba canuta e il tranquillo atteggiamento pur nella strana incombenza a cui sta attendendo, viene però connotata anche dal tradizionale attributo del cappello cardinalizio poggiato su un tavolo, ma ben evidente, a ricordo del ruolo all'interno della chiesa. La parentela con l'analogo soggetto di Jan van Eyck. (1442, Detroit, Institute of Arts) è evidente nella cura dei dettagli e dell'ambiente, anche se l'interpretazione del rapporto tra Ambrogio e l'animale, mansueto e docile come un cagnolone, che porge la zampa per farsi togliere la spina, è quotidiana e domestica, lontana dall'assorta concentrazione e dalla nobiltà d'aspetto del santo, sia nella redazione fiamminga che nell'ieratica versione di Antonello da Messina (Londra, National Gallery) di cui, peraltro, Colantonio era stato maestro, dove l'elaborata struttura architettonica, rigorosamente prospettica, si unisce al minuzioso  realismo e ad una complessa trama di rimandi simbolici.

Testo di Giovanna Lazzi

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This panel constituted the central part of a large, two-level altarpiece with pillars populated by figures of Franciscan monks, designed for the altar of the Church of S. Lorenzo Maggiore and now spread throughout various private collections. It is attributed to Colantonio, active in Naples between circa 1440 1470, the fervid season of the reign of the final Angevin sovereign Renato (1438-42) and the first Aragonese sovereign Alfonso the Magnanimous (1442-58). It was a prolific period for Naples as the analytic realism, attention to optical effects and faithful imitation of nature of Flemish culture encountered the Catalan influence, in a climate of productive cultural, but also commercial and political exchange between North Europe and South Italy. Indeed, the work displays the structure of the Franco-Burgundian matrix, inspired by Jan van Eyck, but also recalls the Provencal Barthélemy d’Eyck, who worked at the Aragonese court between 1438 and 1442. The Golden Legend, by Jacobus de Voragine, narrates the story of the wounded lion tended by Saint Jerome, starting as an episode in the life of the hermit Saint Gerasimus, with affinities to that of the Roman Androcles. The scene is coherent with the traditional portrayal of the saint or literary man in his studio, the setting defined in the finest detail so as to become a topos in painting and miniatures of the period and act as a background to lay and religious scholars. The room is a place of work, as is shown by the apparent disorder of the volumes and objects needed for study and the composition of the literary work. The figure of the saint is wrapped in heavy Franciscan drapes to make immediately clear the order the panel was designed for, worthy of honour and respect due to hoary beard and calm attitude, despite the strange task he is attending to; but he is also characterised by the traditional attribute of the Cardinal’s hat, placed on a table yet very evident, to recall his role within the church. Relationship with the analogous subject by Jan van Eyck (1442, Detroit, Institute of Arts) is clear in the care for details and environment, although the interpretation of the link between Ambrose and the animal, tame and sweet as a puppy, holding out its paw so the thorn can be removed, is everyday, domestic and far from the saint’s absorbed concentration and noble appearance in both the Flemish take and the hieratic version by Antonello da Messina (London, National Gallery), which Colantonio had however mastered, where the elaborate, rigorously perspectival structure joins meticulous realism and a complex weave of symbolical references.

Text by Giovanna Lazzi

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Tre filosofiThree Philosophers

GiorgioneGiorgione

La critica si è arrovellata a lungo nel tentativo di chiarire il significato dell'enigmatico dipinto di Giorgione denominato "I tre filosofi" per la nota di Marcantonio Michiel (Notizia d'opere del disegno, 1525) la «tela a oglio delli tre philosophi nel paese, due ritti et uno sentado che contempla i raggi solari», eseguita per Taddeo Contarini. L'identità dei tre personaggi così diversi non è ancora risolta: il loro aspetto suggerisce le tre età dell'uomo; giovinezza, maturità e vecchiaia, gli abiti indicano oriente e occidente, l'atmosfera di ricordo leonardesco e le sapienti tonalità cromatiche così "venete" creano una indimenticabile suggestione. Una delle ipotesi di lettura più ricorrenti è quella che si tratti dei tre Magi che studiano il cielo alla ricerca di segni della venuta del Messia in un contesto fitto di simboli cristologici, come l'edera e il fico allusivi al legno della Croce, la sorgente d'acqua segno del battesimo. Questa ipotesi viene ripresa da Wilde nel 1932, da Salvatore Settis nel 1978, da Gombrich nel 1986 e da altri ancora. Altre ipotesi suggeriscono tre stadi culturali: l'umanesimo rinascimentale, la filosofia araba, il pensiero medievale, o identificano tre filosofi amici di Giorgione. Di recente è stato proposto un rapporto con il trattatello astrologico Orthopasca di Pellegrino Prisciani, il "sovrintendente" del ciclo dei mesi di Schifanoia, per le illustrazioni, che traggono spunto dal Talmud, con tre astrologi, due in piedi e uno seduto, intenti a osservare le fasi lunari, per riconoscere la data della Pasqua e l’anno nuovo, con tutto il peso di indicazioni di rinnovamento morale e culturale.

APPROFONDIMENTO

Il paesaggio, con la cupa caverna in primo piano e la montagna azzurra sullo sfondo, incornicia i tre personaggi creando cesure psicologiche tra i protagonisti con un indubbio valore allegorico. Proprio il significato della scena è l'elemento più sfuggente del dipinto, volutamente criptico, forse anche per l'epoca, così colta ma pericolosamente rivolta ad interessi non sempre ben accettati soprattutto dalle autorità ecclesiastiche. L'astronomia e l'alchimia, peraltro riconosciute tra gli interessi del Contarini, sono rintracciabili nei calcoli astronomici, sovrastati dalla scritta letta come celum più plausibilmente eclissi, in allusione all'eclissi lunare totale del 29 febbraio / 1º marzo 1504, che avrebbe dovuto segnare, secondo gli astrologi, la discesa dell'Anticristo, riconoscibile nel giovane rivolto verso la caverna, dotato di un alto copricapo nelle radiografie che hanno svelato anche un diadema sacerdotale sulla testa del vecchio, identificandolo quindi in Mosè, mentre il terzo personaggio vestito all'orientale sarebbe Maometto (secondo Augusto Gentili). Nel foglio dell’ebreo si nota un sole raggiato al tramonto, con i numeri dall’uno al sette, l’Oroscopo delle Religioni, un percorso ciclico attraverso sette età, collegate ai pianeti e alle grandi religioni, con un progressivo decadimento fino alla catastrofe seguito dalla rigenerazione. Sebastiano del Piombo terminando la tela lasciata incompiuta, avrebbe eliminato gli elementi pericolosi, confondendo però le identificazioni. Nel 1636 la tela si trovava presso Bartolomeo della Nave, ancora a Venezia, venduta nel 1638 a Hamilton, passò nel 1649 a Leopoldo Guglielmo d'Austria.

Testo di Giovanna Lazzi

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Critics have long struggled to explain the meaning of the enigmatic painting by Giorgione, called "The Three Philosophers" because of the note by Marcantonio Michiel (Notizia d'opere del disegno, 1525): the «oil on canvas of three philosophers in the country, two standing and one sitting, contemplating the sun’s sun rays», made for Taddeo Contarini. The identity of the three such different subjects is still not clear: the appearance suggests the three ages of man - youth, maturity and old age - while the clothes indicate East and West, and the Leonardo-tinged atmosphere and wise, highly “Venetian” chromatic tones draw one in unforgettably. One of the most recurring hypotheses for interpretation is that they are the three Magi studying the sky in search of signs of the coming of the Messiah in a context dense in Christological symbols, such as the ivy and fig, alluding to the wood of the Cross, and the spring of water, a sign of Baptism. This supposition is taken up by Wilde in 1932, Salvatore Settis in 1978, Gombrich in 1986 and others besides. Other hypotheses suggest three cultural stages - Renaissance humanism, Arabian philosophy and Medieval thinking - or identify the three philosophers as friends of Giorgione. Recently a relationship has been put forward to Orthopasca, the astrological treatise of Pellegrino Prisciani, the "Superintendent" of the cycle of months Schifanoia, due to the illustrations, which are inspired by the Talmud, with three astrologers, two standing and one sitting, intent on observing the phases of the moon, to recognise the date of Easter and the new years, with the full weight of indications of moral and cultural renewal.

 

IN DEPTH

The landscape, with the dark cavern in the foreground and the blue mountain behind, frames the three subjects, creating psychological breaks between the main characters with undoubted allegorical value. The very meaning of the scene is the most elusive element in the painting, which is deliberately cryptic, maybe also due to the period that was so cultured, yet dangerously bent on interests which were not always accepted, especially by the ecclesiastical authorities. Astronomy and alchemy, recognised as among Contarini interests, can be traced in the astronomical calculations, surmounted by the text read as celum, most plausibly eclipses, in allusion to complete lunar eclipse of 29 February / 1 March 1504, which would for astrologers mark the descent of the Antichrist, who can be recognised in the youth turned towards the cavern, endowed with high headgear trought X-rays, which also revealed a priest’s diadem on the head of the old man, so as to identify him as Moses, while the third, Eastern-dressed character is Muhammad (according to Augusto Gentili). In the Jewish man’s sheet one notes a beamed sun at dusk, with the numbers one to seven, the Horoscope of Religions, a cyclic path through seven ages, linked to the planets and great religions, with progressive decline until the catastrophe, followed by regeneration. Completing the canvas, which was left incomplete, Sebastiano del Piombo would eliminate the dangerous elements, but confuse the identifications. In 1636 the work was with Bartolomeo della Nave, still at Venice; sold in 1638 to Hamilton, it went on in 1649 to Leopold Wilhelm of Austria.

Text by Giovanna Lazzi

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PietàPietà

Giovanni BelliniGiovanni BelliniGiovanni Bellini

Databile intono al 1470 circa, il quadro è tra i dipinti più rappresentativi delle collezioni del Museo della città di Rimini, ritrae Cristo morto in pietà sorretto da tre angeli ed è legato alla prestigiosa committenza della famiglia Malatesta, signori del luogo. Tra l’altro il dipinto è stato a lungo custodito nel tempio Malatestiano progettato da Leon Battista Alberti, dialogando con gli affreschi lì realizzati da Piero della Francesca nel 1451. Nonostante l’essenzialità della raffigurazione, siamo di fronte a un’immagine esemplificativa della pluralità di relazioni e influenze che segnano l’evoluzione del lungo e prolifico cammino pittorico di Giovanni Bellini. Osservando l’opera, nel taglio della scena e nell’immagine di Cristo, appare ancora vivo l’influsso del cognato Andrea Mantegna, sposato con Nicolosia Bellini. Sulle sue orme il maestro veneziano si sgancia dall’ambiente tardogotico della bottega del padre Jacopo e getta le basi per lo sviluppo di una formula artistica in continua e progressiva evoluzione. Nell’arco del percorso belliniano il soggetto iconografico del dipinto è ricorrente. Più rara appare invece la soluzione dello sfondo scuro e monocromo, altro elemento di connessione con l’opera di Mantegna. Qui però Bellini intenerisce le asprezze del linguaggio del Mantegna e innesta elementi nuovi, come rivelano la vivacità cromatica delle ali degli angeli, la grazia delle espressioni, la naturalezza delle pose, la varietà dei gesti.

Testo di Maria Teresa Tancredi 

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This painting can be dated around 1470 and is one of the most representative works in the Rimini City Museum collection. It depicts the dead Christ in pietà supported by three angels and is linked to the prestigious commission of the Malatesta family, lords of the area. Among other things, the picture was long held in the Malatestian Temple designed by Leon Battista Alberti, connected to the frescos made there by Piero della Francesca in 1451. Despite the essentialness of the portrayal, we are in the presence of an image exemplifying the plurality of relationships and influences marking the evolution of Giovanni Bellini’s long, prolific painting career. Observing the work, we see the influence of the brother-in-law Andrea Mantegna, married to Nicolosia Bellini, remaining in the cut of the scene and the image of Christ. In his footsteps the Venetian master abandons the late Gothic environment of his father Jacopo’s workshop and lays the basis for the development of a continually, progressively evolving artistic formula.  per lo sviluppo di una formula artistica in continua e progressiva evoluzione. The iconographic subject of the painting recurs over Bellini’s work, while the dark, monochrome background solution, another element tying the work with Mantegna, seems rarer. But here Bellini softens the harsh Mantegna language and includes new elements, as is revealed by the chromatic vivacity of the angels’ wings, the grace of the expressions, the naturalness of the poses and the variety of the gestures.

Text by Maria Teresa Tancredi

 

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PietàPietà

PeruginoPerugino

Il dipinto presenta caratteri tipici del linguaggio di Pietro Vannucci detto il Perugino (Città della Pieve, 1448 ca-Fontignano, 1523) e illustra un soggetto frequente nel repertorio iconografico dell’artista focalizzato, per lo più, su temi cristiani. La scena è organizzata secondo uno schema basato su un armonioso gioco di equilibri e simmetrie. Domina la composizione il corpo morto del Cristo, sorretto dalla Vergine – seduta al centro –, da san Giovanni Evangelista e dalla Maddalena, inginocchiati alle estremità per sostenerne la testa e i piedi inermi. Alle loro spalle sono identificabili Nicodemo, inconsuetamente giovane, e Giuseppe d’Arimatea. La placida visione del sacro evento, svolto in maniera didascalica, è ribadita dalla grazia dei volti, dall’assenza di tensioni emotive, dalle corrispondenze cromatiche, dagli accordi coloristici. L’architettura d’inquadramento è disadorna, sobria ma solenne, con archi a tutto sesto che incorniciano l’arioso e sereno paesaggio sullo sfondo. L’opera si colloca in una parentesi del percorso dell’artista oggetto di fama crescente. Il maestro è già infatti inventore di uno stile e di una formula figurativa che lo qualificano come il più grande pittore del tempo, prima quindi della dirompente affermazione dell’allievo Raffaello, di Leonardo – che, come il maestro umbro, frequenta a Firenze la bottega di Andrea del Verrocchio –, di Michelangelo. Proprio grazie alla formazione fiorentina il linguaggio peruginesco si caratterizza per l’eccezionale perizia disegnativa e prospettica. Inoltre nel capoluogo toscano l’artista ha una fiorente bottega attiva fino a quando – mutati i tempi, i gusti e le istanze culturali – rientra in Umbria. Nella terra d’origine ripropone senza sosta i medesimi, collaudati modelli, lavorando fino alla morte, sopraggiunta a Fontignano, vicino a Perugia, tre anni dopo quella di Raffaello (6 aprile 1520), nel 1523. 

 Testo di Maria Teresa Tancredi

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The paInting displays features typical of the language of Pietro Vannucci, Perugino (Città della Pieve, 1448 ca-Fontignano, 1523) and illustrates a subject frequent in the iconographic repertory of the artist focusing mainly on Christian themes. The scene is organised according to a scheme based on a harmonious play of balance and symmetry. The composition is dominated by the dead body of Christ, upheld by the Virgin – sitting in the centre – and by Saint John the Baptist and Mary Magdalene, kneeling at the edge to support His lifeless feet and head. Nicodemus, unusually young, and Joseph of Arimathea can be identified behind them. The placid vision of the sacred event, carried out didactically, is asserted by the grace of the faces, the absence of emotional tension, the chromatic correspondences and the colour agreements. The architecture of the setting is bare, sobre but solemn, with round arches framing the harmonious, serene landscape in the background. The work is placed in a parenthesis in the path of the increasingly famous artist. The master has already invented a style and graphic formula qualifying him as the greatest painter of the period, so before the explosion of his student Raphael, Leonardo – who, like the Umbria master, attended Andrea del Verrocchio’s workshop in Florence – and Michelangelo. By virtue of the Flrentine education, Perugino’s language is marked by its exceptional design and perspective skill. Further, in the Tuscan capital the artist had a flourishing workshop, active until he returns to Umbria with the changing times, tastes and cultural instances. In his land of origin, he ceaselessly reasserts the same, tested models, working until his death, reaching Fontignano, near Perugia, three years after Raphael’s (6 April 1520), in 1523. 

 Text by Maria Teresa Tancredi

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Angelo musicanteAngel Playing a LuteAnge jouant de la musique

Rosso FiorentinoRosso FiorentinoRosso Fiorentino

Il dipinto è entrato nella Tribuna degli Uffizi dal 29 giugno 1605 attribuito al Rosso, poi al Beccafumi, a Francesco Vanni e, dal 1825, di nuovo al Rosso.

Ritenuta opera a sé stante, le riflettografie eseguite durante il restauro del 2000 dimostrarono che si tratta probabilmente del frammento di una pala; lo sfondo nasconde infatti le incisioni parallele del disegno di alcuni gradini su cui l'angelo stava seduto, probabilmente ai piedi del trono della Vergine col Bambino, come in certe composizioni di Fra’ Bartolomeo o Raffaello. In basso a destra sono state rinvenute, parzialmente abrase, l’iscrizione con il nome dell’autore "Rubeus Florentinus" e la data, letta come 1521. E', tuttavia, difficile stabilire se la scritta sia dovuta alla mano dell'artista o piuttosto sia stata apposta quando la pala fu smembrata, forse per ricordare l'autore. Il dettaglio "florent[inus]" ha fatto pensare che l'opera fosse stata dipinta durante uno dei viaggi, forse a Volterra, come potrebbe confermare il dato cronologico. L’aspetto originale è intuibile dalla Sacra Conversazione della chiesa di Sant’Agata ad Asciano (Siena) dipinta intorno al 1600 da Francesco Vanni, che cita letteralmente l'angioletto musicante. 

La deliziosa figura di tenero putto alato alle prese con un liuto dalle proporzioni gigantesche ha raggiunto una notevole fama per l'indubbio fascino che emana. Eppure al di là dell'immediata piacevolezza estetica, il dipinto mostra l’originale interpretazione da parte dell'artista del tema tradizionale e estremamente diffuso degli angeli musicanti. Il gioco cromatico vivacissimo illumina il volto del fanciullo, quasi un giocoso erote, seminascosto dallo strumento disteso in primo piano. Tocchi di rosso nelle ali, nelle guance e sulla punta del naso accendono la tavolozza che si scalda nel legno dorato del liuto di contro ai toni freddi delle piume delle ali. Proprio gli effetti luministici plasmano la figura che rivela il suo carattere nella massa dei riccioli quasi arruffati dall'impegno e dalla concentrazione dell'azione. Bastano questi elementi a rivelare la personalità del Rosso, i suoi spunti anticonvenzionali che lo rendono estremamente moderno.

Testo di Giovanna Lazzi

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The painting entered the Uffizi Tribuna on 29 June 1605 and was attributed to Rosso, and then Beccafumi, Francesco Vanni and, from1825, Rosso again.

Considered a work in itself, the reflectographies made during the 2000 restoration showed that it is probably part of a panel; the background hides the picture’s parallel incisions of several steps the angel was sitting on, most likely at the foot of the throne of the Virgin with Child, as in certain compositions by Fra’ Bartolomeo or Raphael. The inscription with the name of the author "Rubeus Florentinus" and the date, read as 1521, partially abraded, were found at the lower left. It is though hard to establish whether the writing derives from the artist’ hand or was added when the panel was taken apart, maybe to recall the author. The detail "florent[inus]" has implied that the work was painted during one of the journeys, maybe to Volterra, as the chronological date may confirm. The original appearance may be inferred from the Holy Conversation in the Church of Saint Agatha at Asciano (Siena), painted around 1600 by Francesco Vanni, who cites the musical cherub literally.

The delightful figure of the tender winged cherub busy with a hugely proportioned lute has become very famous due to the undoubted fascination it inspires. Yet beyond its immediate aesthetic pleasure, the picture show how the artist treats the traditional, highly widespread theme of musical angels with originality. The lively chromatic play illuminates the face of the boy, almost a playful Herod, half-hidden by the instrument spread in the foreground. Red touches to the wings, cheeks and tip of the nose enhance the picture, which warms up on the golden wood of the lute against the cold tones of the wing feathers. These very lighting effects shape the figure, who reveals his character in the mass of curls, almost ruffled by his endeavour, and concentration in action. These elements suffice to display the personality of Rosso, his anti-conventional traits making him highly modern.

Text by Giovanna Lazzi

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La délicieuse figure du tendre putto ailé aux prises avec un luth aux proportions gigantesques a acquis une notoriété considérable pour lincontestable charme quelle dégage. Et pourtant, au-delà du plaisir esthétique immédiat, le tableau montre une interprétation originale de la part de lartiste du thème traditionnel et extrêmement courant des anges musiciens. Le jeu chromatique très vif illumine le visage de lenfant, sorte damour facétieux, à moitié caché par linstrument placé au premier plan. Des touches de rouge sur les ailes, les joues et le bout du nez animent la palette qui se réchauffe dans le bois doré du luth par contraste avec les tonalités froides des plumes des ailes. Ce sont justement ces effets de lumière qui, en modelant le personnage, en révèlent le caractère à travers la masse des boucles presque emmêlées par lengagement et la concentration dans laction.

Ces éléments suffisent à révéler la personnalité de Rosso, ses occasions non conventionnelles qui en font un artiste extrêmement moderne.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Madonna delle GrazieMadonna of GracesNotre-Dame des Grâces

Andrea da SalernoAndrea da Salerno

Questa tavola e altri tre scomparti facevano parte di uno smembrato polittico con la Madonna della misericordia e santi proveniente dalla chiesa di Sant'Antonio a Buccino, commissionato nel gennaio del 1512 a Andrea Sabatini, noto come Andrea da Salerno, un artista che, pur operoso anche nella sua terra d’origine, si mostra aggiornato sui modi dei maggiori pittori del tempo, sensibile soprattutto alle innovazioni di Raffaello, a cui si accosta a Roma, dove si era recato per osservare  le opere del Perugino. La studiata monumentalità delle figure, modellata appunto sui maestri attivi allora alla corte papale, si incontra con cromatismi e luminosità di ricordo lombardo, grazie alla frequentazione del pittore milanese Cesare da Sesto, già seguace di Leonardo a Milano, poi impegnato fino al 1511 negli appartamenti papali di Giulio II. Il crogiolo multiforme del vivace ambiente romano costituisce un terreno favorevole per la formazione della maniera così composita del Sabatini, che si cimenta specialmente su soggetti religiosi e, in particolare, su questo tema davvero speciale della Madonna delle Grazie, memore di un culto diffuso soprattutto nell’Italia meridionale, in particolare in Campania, con risvolti profondamente devozionali. La Madre di Dio, in questa specifica valenza, riassume caratteristiche divine e umane, ricordando la Madonna della Misericordia, che protegge e difende, e la dolcissima della Madonna del latte, che nutre e vivifica, anzi quasi una variante di questa antichissima iconografia, che pare abbia origine dall’episodio delle “Nozze di Cana”, ove Maria chiede a Gesù di compiere il suo primo miracolo. Il pittore salernitano si cimenta più volte con il soggetto della Mater Gratiae, sempre con esiti emotivamente intensi e di profonda religiosità, atti a far presa sulla coscienza popolare, come nello scomparto centrale del polittico della chiesa di Sant’Andrea a Teggiano, datato 1508, e quello per la chiesa di S. Giacomo Apostolo a San Valentino Torio, commissionato nel 1510.

Nella tavola di Salerno, come in una sacra rappresentazione, due angeli aprono lo scenario per svelare la solenne figura della Vergine stante, avvolta in un sontuoso mantello con lucenti broccature d’oro. Le mani della madre e del bambino si toccano, in un gesto teneramente amoroso, per far sprizzare dal seno il latte che bagna e conforta le anime purganti, affollate in preghiera ai loro piedi, quasi a voler ricordare i rituali legati al culto dei morti e alla consuetudine campana di poveri che chiedevano la carità in nome degli spiriti del Purgatorio. La monumentalità della Madonna sottolinea il suo ruolo di madre straordinaria ma non contraddice l’affettuosa benevolenza del gesto, che la identifica come madre pietosa di ogni uomo, pronta a intercedere e a soccorrere, intervenendo per ottenere una grazia.

Testo di Giovanna Lazzi 

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This panel was part of a dismantled polyptych from the Church of Saint Anthony in Buccino, commissioned in January 1512 of Andrea Sabatini, known as Andrea da Salerno, an artist who was prolific in his land of origin but also appears knowledgeable on the manners of the greatest painters of the period and in particular sensitive to the innovations of Raphael, who he was associated with at Rome, having moved there to observe his works. The studied monumentality of the figures, modelled on the very masters then active in the Papal court, encounters Lombardian chromatism and luminosity, due to meeting the Milanese painter Cesare da Sesto, who was already a follower of Leonardo at Milan and then employed until 1511 in the papal chambers of Julius II. The manifold crucible of the vibrant Roman surroundings provides fertile ground to form this composed manner of Sabatini, who mainly chooses religious subjects and in particular this very special theme of the Madonna of the Graces, recalling worship mainly spread throughout Southern Italy, especially in Campania, with deeply devotional aspects. In this specific guise, the Mother of God takes on divine and human features, those of the Virgin of Mercy, who protects and defends, and the Nursing Madonna, who nourishes and enlivens: almost a variation on this ancient iconography, which seems to have originated from the episode of the “Marriage at Cana”, where Mary asks Jesus to perform his first miracle. The painter of Salerno often tackles the subject of Mater Gratiae, always with emotionally intense, deeply religious results, designed to awaken popular consciousness, as in the central panels of the polyptych in the Church of Saint Andrew at Teggiano, dated 1508, and the one for the Church of Saint James the Apostle at San Valentino Torio, commissioned in 1510. In the Salerno panel, as in a holy portrayal, two angels open the scenario so as to reveal the solemn figure of the standing Virgine, wrapped in a sumptuous mantle with shining gold brocades. 

The mother's hand touches the child's, in a tenderly amorous gesture, so that the breast produces the milk which bathes and comforts the cleansing souls, crowded in prayer at their feet, almost as if to recall rituals linked to the worship of the dead and the country habits of poor people requesting charity in the name of the spirits of Purgatory. The monumentality of the Madonna emphasises her role as an extraordinary mother, but does not contradict the affectionate benevolence of the gesture, identifying her as the merciful mother of all men, ready to intercede and succour, intervening to obtain grace.

Text by Giovanna Lazzi 

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Ce panneau et trois autres compartiments faisaient partie d’un polyptyque démantelé, avec la Vierge de la miséricorde et des Saints, provenant de l’église de Sant’Antonio de Buccino et commandé en janvier 1512 à Andrea Sabatini, connu sous le nom d’Andrea da Salerno, un artiste qui, bien qu’actif dans ses terres d’origine, se montre très au fait des pratiques des plus grands peintres de son époque, et particulièrement sensible aux innovations de Raphaël, qu’il côtoie à Rome où il s’était rendu pour observer les œuvres du Pérugin. Le caractère monumental et étudié des figures, sur le modèle des maîtres qui travaillaient alors à la cour du Pape, s’associe aux chromatismes et à la luminosité d’influence lombarde, grâce à la fréquentation du peintre milanais Cesare da Sesto, disciple de Léonard de Vinci à Milan, puis engagé jusqu’en 1511 pour les appartements privés du pape Jules II. Le creuset multiforme que constitue le très vivant milieu romain s’avère un terrain favorable pour la formation de la manière extrêmement composite de Sabatini, qui s’attache notamment aux sujets religieux, et en particulier, à ce thème très caractéristique de Notre-Dame des Grâces, en ayant en mémoire le culte présent surtout dans l’Italie méridionale, et plus particulièrement en Campanie, dont les accents sont profondément empreints de dévotion. La Mère de Dieu, avec cette valeur spécifique, résume les caractéristiques divines et humaines, en rappelant Notre-Dame de la Miséricorde, qui protège et défend, et la très douce Vierge du lait, qui nourrit et revigore. Dans le panneau de Salerno, comme dans une représentation sacrée, deux anges ouvrent le décor pour en dévoiler la figure solennelle de la Vierge en pied, enveloppée dans un somptueux manteau brillant de brocart d’or. Les mains de la mère et de l’enfant se touchent, dans un geste d’amour tendre, pour faire jaillir du sein le lait qui baigne et réconforte les âmes en attente d’être purifiées, qui se blottissent en prière à leurs pieds, comme voulant rappeler les rituels liés au culte des morts et à l’habitude paysanne des pauvres qui demandaient la charité pour les âmes du Purgatoire.

Texte de Giovanna Lazzi 

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PietàPietà

Rosso FiorentinoRosso FiorentinoRosso Fiorentino

In questo dipinto Rosso Fiorentino medita sul tema della morte di Cristo, con accenti fortemente drammatici. Il corpo del Salvatore, illividito ma marmoreo nella sua nudità studiata anatomicamente, occupa da protagonista il primo piano, catturando l'attenzione in virtù anche del gesto teatrale di Maria che pare ripetere nelle braccia spalancate il segno della croce del martirio. Chiusa nel viluppo delle vesti che ne appesantiscono la figura, il suo volto è quello di una donna del popolo, in contrasto con la bellezza raffinata della Maddalena, dove i delicati tratti del volto si esaltano per la complessa acconciatura alla moda e per i colori luminosi dell'abito. Assai particolare l'unica figura maschile nel circolo delle pie donne: il san Giovanni, inginocchiato di spalle nella classica posa della venere accovacciata, con una robustezza scultorea ormai "manieristica", che chiude la scena in basso e fa da contrappunto alla Maddalena. La bellezza fisica del giovane apostolo rivelata dalle forme tornite e dalla seminudità, contrasta con l'iconografia più consueta di un personaggio quasi umbratile e poco caratterizzato fisicamente, ma non è una novità per l'artista che spesso si compiace di rinnovare, nei dettagli, iconografie tradizionali. Grazie all'abile orchestrazione delle figure nello spazio, la scena acquista così la tragica musicalità di un compianto recitato nelle sacre rappresentazioni, dove i personaggi sono assoluti protagonisti di contro a un fondale cupo e appena accennato.

 Testo di Giovanna Lazzi

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Rosso Fiorentino considers the theme of the death of Christ, with highly dramatic tones. The body of the Saviour, bruised yet marmoreal in its anatomically studied nakedness, dominates the foreground, also capturing our attention by virtue of Mary’s theatrical gesture as her wide open arms seem to repeat the sign of the Cross of martyrdom. Wrapped in the tangle of clothes that weigh down her figure, her face is that of one of the people, contrasting with the refined beauty of Mary of Magdalene, where the delicate facial features are brought out by the complex, fashionable hairstyle and the colours of her garments, that iridescent shine that almost becomes a mark of the artist. The only male figure in the circle of pious women is rather peculiar: Saint John, kneeling down from behind in the classical pose of the crouching Venus, with "Manneristic" sculptured vigour, closing the lower scene and counterpointing Mary of Magdalene. The corporeal beauty of the youth, an apostle revealed in slim forms and semi-nudity, contrasts the more common iconography of an almost aloof subject with little physical characterisation; but this is nothing new for the artist, who often revels in renewing traditional iconography in fine detail. Due to the skillful orchestration of figures in space, the scene acquires the tragical musicality of mourning played out in sacred representations, where the characters are the absolute leaders against a background that is dark and barely touched upon.

Text by Giovanna Lazzi 

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Madonna TempiTempi MadonnaLa Vierge Tempi

Raffaello SanzioRaphaelRaphaël拉斐尔-桑齐奥

Appartenuto alla famiglia Tempi di Firenze, dove è eseguito intorno 1508, il dipinto rappresenta un raffinato esercizio di Raffaello su un tema congeniale al suo temperamento artistico. La composizione, armoniosamente efficace, è condensata intorno all’abbraccio della Vergine con il Cristo fanciullo. Il paesaggio è ridotto a circoscritti e sereni frammenti naturalistici. Raffaello svolge un’umana e intima versione del soggetto religioso, esaltata da una smagliante gamma cromatica. I colori sono inoltre stesi con virtuosa ricercatezza, come emerge apprezzando i sapienti tocchi di luce che impreziosiscono le trasparenze dell’impalpabile velo della Madonna.

Testo di Maria Teresa Tancredi 

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This painting belonged to the Tempi family from Florence, where it was executed around 1508, and shows Raphael refinedly working on a subject congenial to his artistic temperament. The harmoniously effective composition condenses around the embrace of the Virgin and the Christ Child. The landscape is reduced to luminous fragments. Raphael creates a human, intimate version of the devotional subject, enhanced by dazzling colour and plotted in virtuous detail: consider the wise touches of light, embellishing the Madonna’s impalpable silk veil. 

Text by Maria Teresa Tancredi

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Ce tableau, qui appartint à la famille Tempi de Florence, où il fut peint vers 1508, représente un exercice de Raphaël sur un thème cher à son tempérament artistique. La composition se condense autour de l’étreinte de la Vierge avec le Christ enfant. Le paysage est réduit à des fragments naturalistes. Raphaël donne une version humaine et intime du sujet religieux, exaltée par une gamme chromatique éblouissante. Les couleurs sont également appliquées avec raffinement, comme en témoigne l’habileté des touches de lumière qui embellissent les transparences du voile de la Vierge.

Texte de Maria Teresa Tancredi

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Madonna del veloMadonna of LoretoVierge au Voile

Raffaello SanzioRaphaelRaphaël拉斐尔-桑齐奥

Conosciamo differenti repliche dell’opera, indizi di una precoce e immediata fortuna del quadro, realizzato a Roma tra il 1511 e il 1512 ed esposto in Santa Maria del Popolo. Particolarmente nota è la copia presente dal Settecento nella Santa Casa di Loreto, già creduta autografo di Raffaello. Il dipinto, conservato attualmente in Francia (Chantilly, Musée Condé), illustra il tema della Sacra Famiglia e si pone in continuità, sul piano stilistico, con la pressoché contemporanea Madonna di Foligno(1511-1512). Difatti sono qui combinati spunti culturali simili, di matrice peruginesca, fiorentina e veneziana osservabili, rispettivamente, nella tipologia delle figure, nella nitida concezione del disegno, nell’equilibrata organizzazione compositiva, nella stesura colorista e negli accordi di luce. 

 

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There are various copies of this painting, demonstrating its precocious, immediate fortune, on its creation in Rome between 1511 and 1512. The version in the Holy House of Loreto, considered Raphael’s own work, is particularly famous. The painting is currently kept in France (Chantilly, Condé Museum), and illustrates the theme of the Holy Family, which stylistically continues the almost contemporary Foligno Madonna (1511-1512). It combines cultural influences from Perugino and the Florentine and Venetian schools, traceable in the typology of figures, the clear conception of the drawing, the balanced compositional organisation, the layout of colour and the symmetrical lights.

 

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Nous connaissons différentes copies de l’œuvre, témoignage d’un succès précoce et immédiat du tableau, réalisé à Rome entre 1511 et 1512 et exposé à Santa Maria del Popolo. En particulier on connaît bien l’exemplaire, déjà considéré comme un autographe de Raphaël, qui, depuis le XVIIIe siècle a été présent dans la Sainte Maison de Lorette. Le tableau, actuellement en France (Chantilly, Musée Condé), illustre le thème de la Sainte Famille et s’inscrit dans la continuité, sur le plan stylistique, avec la Madonna di Foligno (1511-1512) presque contemporaine. En fait, on y voit la combinaison d’idées inspirées des cultures pérugine, florentine et vénitienne, dans la forme des personnages, dans la conception claire du dessin, dans l’organisation équilibrée de la composition, et dans les accords lumineux. 

 

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Adorazione del BambinoAdoration of the Christ Child

Lorenzo LottoLorenzo LottoLorenzo Lotto

L'intensità del dipinto è racchiusa nel dialogo tra Madre e Figlio, questa si piega in avanti verso il figlio, visibilmente carica di meraviglia e di pensieri riconoscendo nell'umiltà della sua persona la grandezza dell'evento di cui è stata protagonista. Il Figlio che porge le braccia verso di Lei e si muove, sgambetta, sorride, come a volerLa rassicurare. Il Lotto nella sua preparazione teologica ci racconta l'evento che cambierà la storia del mondo, un evento posto sulla terra in una capanna. Dalla terra nasce infatti la nuova vita, con la manifesta voglia di crescere. La Sacra Famiglia è evocata con tonalità calde e accese, con un interessante gioco di contrasti tra luce ed ombra. La scena è infatti vista da dentro la capannuccia, dove Maria e Giuseppe stanno adorando il Bambino posto su un lenzuolo arrotolato in un cesto di vimini, vicino a un sacco e un bariloccio che ricordano il viaggio che li attende, la fuga In Egitto. Dalla porta si apre un bel paesaggio campestre, con tre angeli cantori che rasserenano la scena, mentre a sinistra, dietro lo stipite e in ombra, si vede un crocifisso che ricorda il destino tragico di Gesù. La raffigurazione di Giuseppe genuflesso in adorazione, molto diversa dalle tradizionali raffigurazioni che lo vedevano discosto dalla scena centrale, quasi estraneo, in questa tavola Lotto ce lo presenta con un sorriso sul volto, in adorazione.

Fonte: Wikipedia

The intensity of the painting is enclosed in the dialogue between Mother and Son, who leans forward towards her son, visibly full of wonder and thought, recognizing in the humility of her person the greatness of the event of which she was the protagonist. The Son extends his arms towards her and moves, toddles, smiles, as if to reassure her. Lotto in his theological preparation tells us about the event that will change the history of the world, an event placed on earth in a hut. From the earth the new life is born, with the manifest desire to grow. The Holy Family is evoked with warm and bright colors, with an interesting play of contrasts between light and shadow. The scene is in fact seen from inside the hut, where Mary and Joseph are adoring the Child placed on a sheet rolled up in a wicker basket, near a sack and a barrel that remind them of the journey that awaits them, the flight to Egypt. From the door opens a beautiful country landscape, with three singing angels that soothe the scene, while on the left, behind the doorframe and in shadow, you can see a crucifix that recalls the tragic fate of Jesus. The depiction of Joseph genuflected in adoration, very different from the traditional depictions that saw him at a distance from the central scene, almost extraneous, in this panel Lotto presents him with a smile on his face, in adoration.

Cristo in gloriaChrist in gloryChrist en gloire

Lorenzo LottoLorenzo LottoLorenzo Lotto

Dell’ultimo soggiorno veneziano dell’artista, dopo tante peregrinazioni, è frutto anche la tavola del Cristo trionfatore, tema già sperimentato nella versione della Collezione d’Arco di Mantova e ripetutamente ripreso in bronzo da Jacopo Sansovino, (Venezia, San Marco; Firenze, Bargello; Berlino, Staatliche Museen). Nella città natale, dove Tiziano appariva assoluto dominatore, lo stile così personale di Lorenzo Lotto, il cui valore fu riconosciuto solo alla fine del XIX secolo, non aveva avuto grande fortuna, e ai giudizi negativi, perfino sarcastici, di intellettuali influenti come Pietro aretino, si aggiungevano sospetti di suggestioni protestanti, compatibili con la sua personalità solitaria e umbratile e la sua religiosità intimistica e irrequieta. Lotto guarda Antonello da Messina e Giovanni Bellini, a cui si ispira per l’impianto della pala d’altare e il dosaggio consapevole della luce, lo intriga la cromia di Cima da Conegliano e il rapporto con la natura, poi, a Roma, non si allinea all’imperante classicismo alla Raffaello, come non accetta Tiziano, entrambi lontani dalla sua vena artistica, che pare continuamente alla ricerca di soluzioni innovative. Nei soggetti di argomento religioso l’artista cerca il colloquio con lo spettatore, come a voler instaurare una relazione immediata con il fedele, offrendo una lettura intima, che scandaglia i sentimenti e le profondità dell’anima, una pittura “psicologica” volta a creare un coinvolgimento tutto interiore.  

Nella tavola che esalta il Salvatore, la folla convulsa degli angioletti, che presentano i simboli della passione, isola il corpo statuario di Cristo, giovane, bellissimo, seminudo, divino nella perfezione fisica della sua umanità prorompente. La posa delle braccia aperte ricorda la croce visibile alle spalle, quella morte orribile e salvifica che l’uomo- Dio ha sconfitto, la marmorea lucentezza delle carni è esaltate dalle sfumature rosate del manto, che si muove a svelare il corpo in un sapiente dosaggio cromatico davvero innovativo. La figura trionfante si pone quasi come in un ostensorio, dove il tondo centrale è spesso racchiuso nelle nuvole angeliche, anche qui un sacrificio ostentato e una potenza che viene dalla morte vinta dalla divinità, in tutta la sua spettacolarità in una visione moderna e fortemente psicologica del divino, dove il sacro diventa  umano, quasi in una dimensione quotidiana come la Madonna di Recanati con il gatto che scappa. Il carattere introverso di un artista isolato e segnato dalle difficoltà di una vita raminga e poco gratificante emerge in questa  religiosità apparentemente gridata ma intima e vissuta, dove si è annidato il sospetto di eresia e pratiche alchemiche, e dove la scena sacra si risolve spesso in soluzioni audacemente  scenografiche, come il taglio asimmetrico della regia  di questa tela, sbilanciata sulla diagonale del corpo marmoreo del Salvatore, a cui si modella, nell’iterazione dei gesti, la minuscola figurina in basso, in una suggestione di Imitatio Christi di fortissimo impatto. 

Testo di Giovanna Lazzi

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The artist's final say in Venice, after several wanderings, also produced the panel of Christ the Trumphant, a theme already tried in the version in the Collection of Arco in Mantova and repeatedly returned to in bronze by Jacopo Sansovino (Venice, San Marco; Florence, Bargello; Berlin, Staatliche Museen). In the city of his birth, where Titian appeared as the unquestioned master, the highly personal style of Lorenzo Lotto, whose worth was only recognised at the end of the XIX century, did not prove very successful, and the negative, even sarcastic judgements of influential intellectuals such as come Pietro Aretino were accompanied by suspicions of protestant allusions, compatible with his solitary, aloof personality and intimate, restless religiosity. Lotto looks to Antonello da Messina and Giovanni Bellini, who inspire him in the layout of the altar panel and aware dosage of lighting; he is intrigued by the tones of Cima da Conegliano and then the relationship with nature at Rome. He does not follow the imperious classicism like Raphael; nor does he accept Titian, both of them far from his artistic streak, which seems to be continually seeking innovative solutions. In religious subjects, the artist attempts to speak to the viewer, as if trying to establish an immediate relationship with the faithful, offering intimate reading that probes the feelings and depths of the soul, “psychological” painting aiming to create completely interior involvement.  

In the panel exalting the Saviour, the unrestrained crowd of little angels presenting the symbols of the passion isolates the statuesque body of Christ, young, beautiful, semi-nude, divine in the physical perfection of his outstanding humanity. The open-arm pose recalls the cross, visible behind him, that salvific death defeated by the man-God, while the marble shine of the flesh is heightened by the rosy tints of the mantle as it moves to reveal the body in wise, innovative chromatic dosage. 

The trimphant figure is almost presented as if in an ostensory, where the central tondo is often closed in angelic clouds: here too there is emphasised sacrifice and power deriving from divinty's overcoming death, in all its spectacularity in a modern, highly psychological vision of the divine, where sacred becomes human, almost in an everyday dimension, like Recanati's Madonna with the cat running awayc. The introverted personality of an isolated artist marked by the hardship of a wandering, far from satisfying life emerges in this  religiosity that seems to be shouted out but is actually intimate and experienced, where suspicion of heresy and alchemic pracice lurked, and the sacred scene is resolved in daringly scenographic solutions, such as the asymmetrical cut of the direction of this canvas, unbalanced on the diagonal of the marble body of the Saviour, the iteration of gestures modelling the tiny figure below, suggesting a powerful Imitatio Christi.

 Text by Giovanna Lazzi

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Le panneau avec le Christ triomphant est le fruit, après tant de pérégrinations, du dernier séjour vénitien de l’artiste. Dans sa ville natale, où Titien apparaissait comme le dominateur absolu, le style si personnel de Lorenzo Lotto, dont la valeur ne fut reconnue qu’à la fin du XIXe siècle, n’avait pas connu un grand succès, et aux jugements négatifs, voire même sarcastiques, d’intellectuels influents comme Pierre l’Arétin, s’ajoutaient des soupçons de suggestions protestantes, compatibles avec sa personnalité solitaire et ombrageuse, et sa religiosité intimiste et inquiète. Dans le panneau qui exalte le Sauveur, la foule confuse des angelots, qui présentent les symboles de la passion, isole le corps imposant du Christ, jeune, très beau, à demi nu, divin dans la perfection de son humanité débordante. La pose des bras ouverts rappelle la croix visible dans son dos, cette mort horrible, apportant le salut, que l’homme-Dieu a vaincue, l’éclat marmoréen de la chair est rehaussé par les nuances rosées du manteau, dont le mouvement dévoile le corps en un savant dosage chromatique, tout à fait nouveau. La figure triomphante se place presque comme dans un ostensoir, où le cercle central est souvent enserré dans les nuages angéliques, dans un sacrifice ostentatoire et une puissance venant de la mort vaincue par la divinité.

Le caractère introverti d’un artiste isolé et affecté par les difficultés d’une vie vagabonde et peu gratifiante émerge dans cette religiosité apparemment clamée, mais intime et vécue, où s’est caché le soupçon d’hérésie et de pratiques alchimiques, et où la scène sacrée se résout souvent en solutions d’une grande audace scénographique, comme la coupe asymétrique de la mise en scène de cette toile, déséquilibrée sur la diagonale du corps marmoréen du Sauveur, où prend forme, dans la répétition des gestes, la minuscule figurine en bas, dans une suggestion d’Imitatio Christi d’une très grande force.

Texte de Giovanna Lazzi 

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