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Ratto di GanimedeGanymede Abducted by the Eagle
CorreggioCorreggio
Kunsthistorisches Museum, GemäldegalerieKunsthistorisches Museum, GemäldegalerieKunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie, ViennaViennaVienne, AustriaAustriaAutriche
Olio su telaOil on canvas, 164 x 71 cm., anno 1531 - 1532

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La tela fa parte di una serie di dipinti sugli amori di Giove commissionata al Correggio da Federico II Gonzaga, noto per il suo interesse per i miti erotici, per farne dono a Carlo V, e dopo vari passaggi, giunge  a Vienna dove è conservata dagli inizi del Seicento.

In equilibrio precario, come gli angioletti che popolano le nuvole morbide della cupola del Duomo di Parma, il luminoso nudo di Ganimede risplende roseo contro il nero delle grandi ali spiegate dell’aquila, gigantesca ma non terribile, anzi quasi protettiva e volutamente rassicurante nel gesto di leccare il polso al fanciullo. Il tenero incarnato risalta ancor di più per il rosa lucente del lembo di tessuto che enfatizza, più che coprire, le curve efebiche. La torsione del corpo del giovinetto crea una sorta di moto continuo nel paesaggio sfumato, di ricordo giorgionesco, composto quasi solo da macchie di colore, dove, però, la roccia appuntita e l’albero a lato fungono da quinte sceniche e indicatori dei protagonisti dell’azione. Tutte le linee convergono verso i due personaggi principali e anche la posizione del cane sembra indirizzare il nostro sguardo: un espediente che l’artista utilizza con acuta consapevolezza per coinvolgere l'osservatore. L’animale, che allude all’occupazione terrena del pastorello frigio e forse anche al tema della caccia, divertimento prediletto della classe agiata e in particolare dei destinatari, rivela anche una colta ispirazione da Virgilio (Eneide, V, vv. 252-255), che ricordava lo stupore dei “cani che latrano verso le stelle” di fronte all’evento eccezionale del ratto di Ganimede.

Il mito greco, che racconta come l’aquila di Zeus piomba ad afferrare il ragazzo e lo porta sull’Olimpo, dove diviene il coppiere della sacra mensa per donare agli dei la visione continua della bellezza, è molto caro al Rinascimento anche per la complessa rete di rimandi simbolici. Già Senofonte intuiva nella storia l'allegoria morale della superiorità della mente sul corpo (il nome Ganimede è formato da γάνυσθαι, "gioire" e μήδεα, "intelligenza").

Poi, alla motivazione filosofica del giovane quale incarnazione dell’anima che raggiunge la divinità, si unisce l’idea della contemplazione della pura bellezza come espressione suprema del piacere spirituale e intellettuale. Non manca qui la sottile allusione politica di un elegante omaggio cortigiano a Carlo V nella citazione dell’aquila, simbolo del potere.

Se un’opera d’arte si può leggere spesso su vari piani, al di là delle sottese implicazioni, il pittore riesce a creare un immediato pathos senza la drammaticità del coevo disegno di Michelangelo di analogo soggetto, (Cambridge, Fogg Art Museum)  ma con una visione moderna e coinvolgente che riporta lo spettatore alla realtà quotidiana nella figura realistica del cane ma, dalla terra, trasporta lo sguardo al cielo, al simbolo eterno della bellezza.   

Testo di Giovanna Lazzi

©Tutti i diritti riservati

The canvas is part of a series of paintings on Jupiter's loves commissioned of Correggio by Federico II Gonzaga, known for his interest in erotic myth, as a gift to Charles V. After various moves the work reached Vienna, where it has been conserved since the early 1600s.

In precarious balance, like the little angles populating the soft clouds in the cupola of Parma Cathedral, Ganymede's bright nude body shines red against the black of the eagle's great spreading wings, gigantic but not terrible; almost protective and wishfully reassuring as they lick the youth's wrist. What makes the tender subject even more outstanding is the shiny red of the wrapped material, which not so much covers as emphasises the ephebic curves. The twist of the youth's body creates a sort of continuous movement in the sfumato landscape, recalling Giorgione, almost entirely made up of coloured marks, where however the pointed rock and tree at the side act like a backdrop indicating the main players in the action. All the lines converge towards the two major characters, and the position of the dog also seems to direct our gaze: an expedient the artists uses with the utmost awareness so as to bring the viewer in. The animal alluding to the Phrygian shepherd's work on the land and maybe also to the theme of hunting, the preferred pastime of the upper class and in particular the recipients, also reveals cultured Virgilian inspiration (Aeneid, V, vv. 252-255), recalling the amazement of the “dogs barking towards the stars” before the exceptional event of Ganymede and the eagle.

Greek myth, recounting how Zeus' eagle swoops to grab the lad and take him to Olympus, where he becomes the cupbeaerer at the sacred table and provides the continual vision of beauty, is most dear to the Renaissance, not least due to its complex network of symbolical allusions. Even Xenophon felt the superiority of mind over body in the allegorical story (the name Ganymede is made up of γάνυσθαι, "rejoice", and μήδεα, "intelligence"), and the philosophical motivation of the youth as an incarnation of the soul achieving divinity is enhanced by the idea of contemplating pure beauty as the supreme expression of spiritual and intellectual pleasure. There is, too, a subtle political allusion, an elegant homage to Charles V in the reference to the eagle, symbolising power.

If a work of art can often be interpreted on various levels, beyond the underlying implications, the painter succeeds in creating immediate pathos without the drama of the contemporaneous sketch by Michelangelo of an analogous subject (Cambridge, Fogg Art Museum), but with a modern, compelling vision that takes the viewer to daily reality in the realistic figure of the dog, but brings his gaze to the sky, the eternal symbol of beauty.   

Text by Giovanna Lazzi

©All Rights Reserved 

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