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Capolavori italiani dal XV al XVII secoloItalian Masterpieces from XV to XVII century
29 novembre 2018 -  1 dicembre 2018
Nuova Fiera di RomaNuova Fiera di Roma, RomaRome

Rome Museum Exhibition [RO.ME.], la prima edizione della manifestazione sui musei e sul turismo culturale organizzata da Fiera di Roma e ISI.URB, col patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e nell’ambito dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale ospita un’antologia della Mostra Impossibile “I capolavori dei pittori italiani del Rinascimento”. I visitatori possono ammirare, riprodotti in dimensioni reali, ad altissima risoluzione e leggermente retroilluminati quindici dipinti, tra i più famosi, di Piero della Francesca, Botticelli, Leonardo, Raffaello, Tiziano, Caravaggio e la riproduzione integrale e a grandezza naturale dell’Ultima Cena (880 X 460). L’Italia è la custode di un patrimonio storico – artistico – archeologico – paesaggistico unico al mondo con eccellenze nel campo della tutela, della conservazione e del restauro dei beni culturali.

Orario d'apertura dalle ore 10 alle 18; ingresso libero da Fiera Nord

Programma: https://romemuseumshow.com/programma/

Rome Museum Exhibition [RO.ME.], the first edition of the display on museums and cultural tourism organised by Fiera di Roma and ISI.URB, with the patronage of the Ministry of Culture and Tourism and within the European Year of Cultural Heritage, hosts an anthology ofThe Impossible Exhibitions,“Masterpieces by Italian Renaissance painters”. Visitors can admire actual-size, very high definition, softly back-lit reproductions of fifteen paintings, including the most famous ones, by Piero della Francesca, Botticelli, Leonardo, Raphael, Titian, Caravaggio, and the complete, full-size reproduction of the Last Supper (880 X 460). Italy owns a historical, artistic, archaeological, landscape heritage like no other in the world, with excellence in the field of safeguarding, conerserving and restoring culture.  

Opening times from 10 a.m. to 6 p.m.; free entrance from Fiera Nord

 https://romemuseumshow.com/programma/

in mostra

Annunciazione di CestelloCestello AnnunciationAnnonciation dite du Cestello

Sandro BotticelliSandro BotticelliSandro Botticelli

L'Annunciazione, realizzata nel 1489 - 90 per la cappella della famiglia Guardi nella chiesa del Cestello, è conservata agli Uffizi dal 1872. L’intensa drammaticità che pervade la scena, pur nella sua iconografia notissima e codificata, rammenta la profonda inquietudine mistica del pittore dovuta alle suggestioni delle prediche di Girolamo Savonarola. Lo suggerisce la torsione del corpo di Maria, che interrompe la lettura per volgersi verso l’angelo, appena atterrato con il manto ancora sollevato dal vortice del vento. La stanza si apre come una quinta teatrale verso lo sfondo dove, dalla finestra, appare chiaro e nitido un paesaggio ben delineato di ispirazione fiamminga, mentre il pavimento, nella sua partizione geometrica, rivela un attento studio prospettico. Il muto colloquio tra i due protagonisti è sottolineato dall’intenso gioco di sguardi, dove si coglie la riflessione del pittore sulla fede e la bellezza, quel dramma interiore che pervade l’ultima fase della sua produzione.

Testo di Giovanna Lazzi

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The Annunciation, made in 1489 - 90 for the Guardi family's chapel in Cestello Church, has been conserved at the Uffizi since 1872. The intense drama pervading the scene, even in its famed, codified iconography, recalls the painter's deep mystical disquiet due to the effects of Girolamo Savonarola's preaching. It is implied by the twisting of Mary's body, as she interrupts her reading to turn to the angel, who has just landed, her mantel still lifted by the vortex of wind. The room opens like a theatre stage towards the background, where the window displays a clear, fine countryside, well delineated and inspired by Fleming art, while the geometric partition of the floor reveals a careful study of perspective. The silent talk between the two main characters is underlined by an intense interplay of gaze, in which one grasps the painter's reflection on faith and beauty, that interior drama pervading the final phase of production. 

Text by Giovanna Lazzi

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Lintensité dramatique qui envahit la scène, malgré son iconographie très connue et codifiée, rappelle la profonde inquiétude mystique du peintre due aux suggestions des prêches de Jérôme Savonarole. Cest la torsion du corps de Marie qui le suggère, elle qui interrompt sa lecture pour se tourner vers lange, qui vient juste datterrir comme lindique son manteau qui se soulève encore sous le tourbillon du vent. La pièce souvre comme une coulisse de théâtre vers larrière-plan où, par la fenêtre, apparaît un paysage clair et net, bien tracé, dinspiration flamande, tandis que le sol, dans sa partition géométrique, révèle une étude scrupuleuse de la perspective. Lentretien muet entre les deux protagonistes est souligné par lintense jeu des regards, où lon saisit la réflexion du peintre sur la foi et la beauté, ce drame intérieur qui envahit la dernière phase de sa production.

Texte de Giovanna Lazzi 

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AnnunciazioneAnnunciationAnnonciation

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Sintesi della lezione appresa da Leonardo nella bottega di Andrea del Verrocchio, maestro dell’artista a Firenze, l’opera, destinata al refettorio della chiesa fiorentina di San Bartolomeo a Monte Oliveto, è concepita per una collocazione all'interno di una copertura lignea della parete, come in uso nelle case dell'epoca, motivo delle presunte incongruenze spaziali-compositive sempre denunciate dalla critica. Nell’insieme colpiscono i motivi ornamentali del leggìo a sinistra della Vergine, desunti dal sarcofago (1472) della tomba di Giovanni e Piero de’ Medici (Firenze, San Lorenzo, Sacrestia Vecchia) realizzato dall’officina verrochiesca: elementi indiziari di una cronologia assestabile tra il 1472-73. L’atmosferica trasparenza del paesaggio roccioso al centro del fondo è precoce attestazione delle sperimentazioni prospettiche caratterizzanti i successivi capolavori leonardeschi. 

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

APPROFONDIMENTO

Leonardo si allontanò dall'iconografia tradizionale del tema dell'Annunciazione ambientando la scena in un giardino invece che in un luogo chiuso come voleva la tradizione medievale, in allusione al concepimento di Maria. La purezza della Vergine è allusa anche dal giglio che Gabriele le porge, secondo la tradizione, e ancora a lei, madre di Cristo e emblema della Chiesa, sono associati i cipressi che svettano sul fondo, in virtù della caratteristica di crescere allungati verso il cielo. E infine la conchiglia che sormonta il festone con foglie, frutta e fiori, è uno dei simboli mariani, legati alla coltissima concezione neoplatonica della Venere Urania, l'Afrodite celeste, la madre universale, che mediante l'amore purificato conduce l'uomo alla catarsi. I consueti canoni iconografici sono rispettati dalla collocazione l'Angelo a sinistra e della Madonna a destra, ma l'espediente di porre la figura femminile in un angolo consente di intravedere lo spazio interno della camera da letto. Un muretto che delimita il giardino si apre un passaggio verso l'ampio scorcio di paesaggio, un fiume con anse e barche, montagne punteggiate da torri e alberi. La scena si svolge dunque in uno spazio riservato e discreto ma non chiuso in quanto l'apertura al mondo naturale sembra voler sottolineare come il miracolo dell'Incarnazione divina coinvolga l'intero creato. I fiori del prato e tutte le altre specie vegetali appaiono studiati dal vero, con precisione lenticolare botanica, con attenzione da scienziato e sono solo in parte riconducibili a influssi fiamminghi. La luce è chiarissima, mattutina, e ammorbidisce i contorni delle figure, mentre l'impostazione spaziale è resa piuttosto dal digradare progressivo dei colori, soprattutto nello sfondo già immerso nella foschia dello "sfumato". In alcuni punti si possono addirittura notare le impronte digitali dell'artista, che talvolta stemperava il colore con i polpastrelli, come si riscontra sulle foglie dei festoni alla base del leggio e sulle dita della mano destra della Vergine. Il nitido rigore della prospettiva geometrica rimane nei dettagli architettonici, le proporzioni dell'edificio - una costruzione civile dai muri intonacati - del pavimento e del leggio, con un punto di fuga al centro della tavola. Lo spazio è, quindi, costruito con la luce mentre il colore rende l’atmosfera, le tinte azzurre creano la profondità, i colori chiari e freddi la lontananza i caldi il primo piano. Il candore del guarnello, la tipica veste degli angeli, si illumina del rosso del mantello soppannato da quel verde della speranza e la semplice gonnella cinta di Maria concede alla moda solo il taglio delle maniche da cui si intravede la camicia. L'incarnato dell'angelo è pallido e piatto molto diverso da quello del Battesimo di Cristo mentre la Madonna appare compostamente assorta nell'accettazione della sua missione, che sancisce con il gesto della mano aperta mentre l'altra è poggiata sulla Bibbia, aperta ad un passo di Isaia in greco e appoggiata su un velo meraviglioso, impalpabile nella sua sorprendente trasparenza. La scena sacra, tante volte ripetuta, assume un sapore particolare alla luce dell'insegnamento umanistico: l'incarnazione assicura la redenzione in un mondo però dove l'uomo vive in simbiosi con la natura, dove l'ordine assicura la calma, dove l'interno si apre all'esterno, dove tutto fluisce secondo regole precise e dove la ragione prevale sulla forza perché, come dice Leonardo nel Trattato della pittura, dove "manca la ragione suppliscono le grida".

Testo di Giovanna Lazzi    

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Synthesis of the lessons learnt by Leonardo in the workshop of Andrea Verrocchio, the artist’s Florence master, this work was designed for the refectory of the Florentine Church of San Bartholomew at Monte Oliveto. It was conceived to be placed in wooden wall covering above, which explains the alleged incongruences in space and composition that critics have always pointed out. Overall, one is struck by the ornamental motifs on the lectern to the Virgin's left, gleaned from the sarcophagus of the tomb of Giovanni and Piero de’ Medici (Florence, San Lorenzo, Sacrestia Vecchia), made by Verrochio's laboratory. The atmospheric transparency of the rocky landscape mid-background is a precocious attestation of the perspective experimentations that would characterise future Leonardo masterpieces.

Text by Maria Teresa Tancredi

 

IN-DEPHT

Leonardo moved away from the traditional iconography of the theme of the Annunciation, setting the scene in a garden rather than the closed area in Medieval convention, a hortus conclusus, alluding to the conception of Mary. There is further reference to her purity in the lily that Gabriel hands her, in accordance with tradition, and the cypresses soaring in the background are also associated with her as mother of Christ and emblem of the church, in that they grow up towards the sky. Further, the shell surmounting the garland with its leaves, fruit and flowers is one of the symbols of Mary, linked to the cultured Neo-Platonic conception of Venus Urania, celestial Aphrodite, the universal mother, who leads man to catharsis through purified love. The usual iconographical canons are respected by placing the Angel to the left  and the Madonna to the right, but the expedient of positioning the female figure in a corner reveals the space inside the bedroom. The wall bordering the garden opens up a wide view of the landscape, including a river with curves and boats, and mountains dotted with towers and trees. So the scene is played out in an area that is reserved and discrete but not closed, as the opening to the natural world may highlight how the miracle of the divine Incarnation involves all creation. The flowers on the meadow and all the other vegetable species seemed to have been studied in reality, with a precise botanical lens and scientific interest, and can only partly be attributed to Flemish influence. The clear, morning light softens the figures’ borders, while the spatial setting is dominated by the progressive fading of colour, especially in the background, which is already immersed in the "sfumato" mist. Some elements actually reveal the fingerprints of the artist, who sometimes tempered the colours with his fingertips, as shown by the garland leaves at the base of the lectern and the fingers of the Virgin’s right hand. The sharp rigour of geometrical perspective remains in the architectural details, the proportions of the floor, the building – a civilian construction with plastered walls – and the lectern, with a vanishing point at the centre of the table. The space is, then, formed with light, while colour fashions atmosphere, with depth created by the blue tints create depth, distance by the clear, cold colours, and the foreground by the cold colours. Light bounces off the wall, illuminating the characters’ faces and hair and modelling the architectural elements and the flowing drapery of the dresses in their classical cadences. The white of the fringe, the typical angel’s attire, is brightened by the red of the cloak, underlain by the green of hope and Mary’s simple girded skirt concedes to fashion only the cut of the sleeve, showing her blouse. The incarnation of the angel is pale and flat, quite unlike the one in the Baptism of Christ, while the Madonna appears composed, absorbed in accepting her mission, which she seals by opening one hand, as the other is placed on the Bible, displaying a passage from Isaiah, symbolising the truthfulness of Scripture, protected, in a mark of sacred respect, by the wondrous veil, impalpable in its surprising transparency. The Madonna appears composed, absorbed in accepting her mission, which she seals by opening one hand, as the other is placed on the Bible, displaying a passage from Isaiah, symbolising the truthfulness of Scripture, protected, in a mark of sacred respect, by the wondrous veil, impalpable in its surprising transparency. This oft-repeated holy scene takes on peculiar style in the light of humanistic teaching: the incarnation ensures redemption in a word where man lives in symbiosis with nature, order guarantees calm, the internal opens to the external, everything flows according to precise rules, and reason prevails over force because, as Leonardo wrote in the Treatise on Painting, “where reason fails, cries beseech".

Text by Giovanna Lazzi

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Synthèse de lenseignement tiré par Léonard de latelier dAndrea del Verrocchio, maître de lartiste à Florence, l’œuvre, destinée au réfectoire de l’église florentine de San Bartolomeo à Monte Oliveto, est conçue pour être placée à lintérieur dun revêtement mural en bois, selon lusage dans les demeures de l’époque, ce qui expliquerait les présumées incongruences spatiales dans la composition que la critique a toujours dénoncées.

Léonard s’éloigna de liconographie traditionnelle du thème de lAnnonciation en situant la scène dans un jardin plutôt que dans un lieu clos comme le voulait la tradition médiévale, en référence à la conception de Marie. La pureté de la Vierge est également suggérée par le lys que Gabriel lui tend, selon la tradition, et cest encore à elle, mère du Christ et emblème de lEglise, que sont associés les cyprès qui se dressent en arrière-plan, eu égard à leur particularité de pousser allongés vers le ciel. Enfin le coquillage qui surmonte le feston orné de feuilles, fruits et fleurs, est un symbole marial, lié à la très savante conception néoplatonicienne de la Vénus Uranie, lAphrodite céleste, la mère universelle, qui grâce à lamour purifié conduit lhomme à la catharsis. Les canons iconographiques habituels sont respectés par la position de lAnge à gauche et de la Madone à droite, mais lexpédient consistant à placer le personnage féminin dans un coin permet dentrevoir lespace intérieur de la chambre à coucher. Un muret qui délimite le jardin ouvre un passage vers la vue étendue du paysage, un fleuve avec ses anses et des barques, des montagnes ponctuées de tours et darbres. La scène se déroule donc dans un espace réservé et discret mais pas fermé dans la mesure où louverture sur le monde naturel semble vouloir souligner la manière dont le miracle de lIncarnation divine implique la totalité de la création. Les fleurs du pré et toutes les autres espèces végétales apparaissent étudiées daprès la réalité, avec une précision botanique lenticulaire, une attention de scientifique et ne sont quen partie attribuables aux influences flamandes. La lumière est très claire, matinale, et adoucit les contours des personnages, tandis que la disposition de lespace est plutôt rendue par le dégradé progressif des couleurs, surtout pour larrière-plan déplongé dans la brume du sfumato. A certains endroits on peut même remarquer les empreintes digitales de lartiste, qui parfois délayait la couleur du bout des doigts, comme on le retrouve sur les feuilles des festons à la base du pupitre et sur les doigts de la main droite de la Vierge. La rigueur nette de la perspective géométrique réside dans les détails architecturaux, les proportions de l’édifice – une construction civile aux murs enduits du dallage et du pupitre, avec le point de fuite au centre du panneau. Lespace se construit donc avec la lumière tandis que la couleur rend latmosphère, les teintes azurées créent la profondeur, les couleurs claires et froides le lointain et les couleurs chaudes le premier plan. La candeur du guarnello, le vêtement caractéristique des anges, sillumine du rouge du manteau doublé de ce vert de lespoir et la simple jupe avec ceinture de Marie ne concède à la mode que louverture dans les manches à travers laquelle on aperçoit la chemise. La carnation de lange est pâle et plate, bien différente du Baptême du Christ, tandis que la Madone apparaît sobrement absorbée dans lacceptation de sa mission, quelle approuve dun geste de sa main ouverte quand lautre est posée sur la Bible, ouverte sur un passage dIsaïe en grec et reposant sur un voile merveilleux, impalpable dans sa surprenante transparence.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Madonna del PratoMadonna del PratoMadonna del Prato

Raffaello SanzioRaphaelRaphaël拉斐尔-桑齐奥

Nella piena maturità del Raffaello fiorentino, quest’opera, del 1506, malgrado gli infondati dubbi sull’attribuzione, va ritenuta centrale e culminante della ricerca formalmente suprema dell’urbinate. L’organizzazione compositiva della stupenda figura di Madonna, con i bambini che giocano in primo piano, e la parte superiore, con quel rosso tinto qualificato profondamente che svetta sul grande paesaggio, evocano davvero l’erezione di un monumento. Con ogni evidenza siamo di fronte ad una vera e propria opera architettonica: l’articolazione delle forme, l’intonazione cromatica e la limpidezza atmosferica danno vita ad un altissimo raggiungimento.

Commento di Ferdinando Bologna

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This work was made in 1506, at Raphael's full Florentine maturity, and marks the culmination of his search for formal supremity, despite unfounded doubts over attribution. The painting evokes the erection of a monument through its compositional organisation, the stupendous Madonna and playing children in the foreground, and qualified red soaring over the great landscape above. We are in the presence of a truly architectural work: articulation of forms, chromatic intonation and atmospheric clarity enliven a mighty achievement.

A comment by Ferdinando Bologna 

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Cette œuvre de 1506, qui a finalement été attribuée à Raphaël, date de la pleine maturité atteinte par Raphaël lors de son séjour florentin : elle doit être considérée comme centrale dans la recherche formelle du maître dUrbino. L'organisation de la composition de la splendide figure de la Vierge, avec les enfants jouant au premier plan, et la partie supérieure, et ce rouge qui se détache sur le paysage étendu, évoquent vraiment l’édification d'un monument. De toute évidence nous sommes confrontés à un véritable travail architectural : l'articulation des formes, la tonalité chromatique et l’ambiance lumineuse donnent vie à une très grande réalisation.

Commentaire de Ferdinando Bologna 

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Vergine delle rocce Virgin of the Rocks

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

La tavola della National Gallery, probabile opera di collaborazione, è documentata a Milano in San Francesco Grande sino alla fine del Settecento. Rispetto alla redazione del Louvre, il dato rilevante del quadro londinese risiede nella figura dell’angelo che non indico più il Battista, «un particolare importante, che non può ritenersi casuale», collegabile «ai contrasti anche violenti riguardo al tema dell’Immacolata Concezione», che coinvolgono senza dubbio l’omonima confraternita milanese, committente del dipinto vinciano. «L’aggiunta della croce sulla spalla del san Giovannino, spostava l’accento sul tema del sacrificio di Cristo e della passione, cui alluderebbe… anche il simbolismo dei fiori» in primo piano (M. Calì). 

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

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The National Gallery painting, probably fruit of collaboration, was documented at Milan in San Francesco Grande until the end of the 1700’s. With respect to the Louvre copy, the London panel’s relevant data lies in the figure of the angel who no longer points to the Baptist, «an important detail, that cannot be considered casual», linkable to «the even violent contrasts regarding the theme of the Immaculate Conception», doubtlessly involving the eponymous Milanese co-fraternity, commissioner of the Vincean painting. «The addition of the Cross on Saint John’s shoulder shifted the emphasis to the theme of Christ's sacrifice and the Passion, also alluded to… by the symbolism of the flowers» in the foreground (M. Calì). 

Text by Maria Teresa Tancredi

 

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Cartone di sant'AnnaThe Burlington House Cartoon

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Il cartone mostra le tre generazioni della famiglia di Cristo: sant'Anna tiene sua figlia Maria sulle sue ginocchia e quest'ultima trattiene il figlio, che si rivolge verso san Giovannino. Anna indica con la sinistra il cielo e guarda Maria con uno sguardo festoso e familiare. Così la descrive il Vasari: "Finalmente fece un cartone dentrovi una Nostra Donna et una S. Anna, con un Cristo, la quale non pure fece maravigliare tutti gl'artefici, ma finita ch'ella fu, nella stanza durarono due giorni d'andare a vederla l'uomini e le donne, i giovani et i vecchi, come si va a le feste solenni, per veder le maraviglie di Lionardo, che fecero stupire tutto quel popolo." Disegnato con gessetto nero su otto fogli di carta incollati tra loro, è una delle opere più preziose e delicate della National Gallery. 

Testo di Giovanna Lazzi

 

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The cartoon shows the three generations of Christ’s family: on her lap, Saint Anne holds her daughter Mary, who restrains her son, who turns to a baby Saint John. Anne points to the sky with her left finger and looks cheerily, friendlily at Mary. Vasari describes it thus: “Finally he did a cartoon showing Our Lady with Saint Anne and the Infant Jesus, which not only won the admiration of all artists, but when finished, for two days attracted men and women, young and old, to the room, as if they were going to a solemn celebration, to see the wonders of Leonardo, which amazed all the people." Drawn in charcoal on eight sheets of paper, glued together, it is one of the National Gallery’s most precious, delicate works. 

Text by Giovanna Lazzi

 

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Sant'Anna, la Vergine e GesùVirgin and Child with St. AnneLa Sainte Anne

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

La presentazione del sacro gruppo, costruito intorno a una rotante struttura piramidale, innesca un cambio di passo nella concezione della pala d’altare. Unito agli studi per la Battaglia d’Anghiari, il dipinto dà la misura dei traguardi leonardeschi raggiunti da Leonardo nell’analisi delle figure in movimento, attraverso lo slancio con cui la Vergine, levandosi quasi dal grembo della madre – Sant’Anna –, afferra il Figlio che stringe l’agnello, emblema della passione di Cristo. La foschia avvolge il paesaggio sullo sfondo, scandito da lontani specchi d’acqua intervallati ad aspri spuntoni rocciosi ed enfatizza il vorticoso effetto ondulatorio della scena principale. L’utilizzo sapientemente modulato dello “sfumato” nella resa dei volti addolcisce i tratti e le espressioni dei personaggi, rendendoli vivi e palpitanti.

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

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The presentation of the holy group, made up around a rotating pyramid structure, marked a turning point in the conception of altar panels. Together with studies for the Battle of Anghiari, the painting sets a benchmark in Leonardo's aims in analysing moving figures, through the slant with which the Virgin, almost rising from the lap of the mother – Saint Anna –, grasps the Son, who clasps the lamb, emblem of the passion of Christ. The growing spray from the country background, scanned by distanced mirrors of water with rough rocky juts, emphasises the whirlwind, wavy effect of the main scene. And the wisely modulated use of “sfumato” in rendering the faces softens the characters’ features and expressions, so they live and palpitate.  

 Text by Maria Teresa Tancredi

 

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Ultima cena The Last Supper

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Il Cenacolo della chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie segna una svolta nello sviluppo della cultura figurativa lombarda del tempo. L'imponente dipinto murale è realizzato a tempera e olio su due strati di intonaco, scelta dettata dall’ossessione sperimentatrice nutrita dal genio vinciano, antitetica alla tradizione fiorentina e settentrionale dell’affresco. Contrassegnata dalle insegne araldiche di Ludovico il Moro, duca di Milano e committente dell’impresa durante il 1494, l'Ultima Cena risulta terminata quando l’8 febbraio 1498, Luca Pacioli, amico di Leonardo, dedica allo Sforza il “De divina proportione”. Non sfugge ai contemporanei la carica innovativa dell’opera, primo caposaldo della “maniera moderna” per composizione, risoluzione prospettico-spaziale, cromatismo, in anticipo dunque sui raggiungimenti di Raffaello e Michelangelo. Difatti lo storico comasco Paolo Giovio, ripreso dall'aretino Giorgio Vasari, narra che Francesco I, dalla corte di Fointainebleau, lancia la proposta di segare il murale e trasferirlo in Francia. Il tema illustrato rimanda all'istituzione dell'Eucarestia. Leonardo svolge il momento in cui Cristo, alludendo al suo sacrificio, informa gli attoniti, sbigottiti apostoli che lo fiancheggiano "Uno di voi mi tradirà". Le reazioni emotive scaturite all'accoglimento della notizia - gesti, azioni, espressioni dei volti - costituiscono la più esemplare trasposizione figurata delle teorizzazioni vinciane intorno ai "moti dell'animo", sottolineata anche dalla preferenza accordata all'armonica distribuzione dei convitati in quattro raggruppamenti di tre. Un simile, ritmico espediente accresce la drammaticità dell'insieme, esaltando la scenografica configurazione dello spazio orchestrata dall'artista: gli arazzi a motivi millefleurs ai lati dell'aula - sorta di ardita scatola prospettica -, le finestre retrostanti, la quadratura del pavimento, l'estensione in orizzontale della tavola imbandita concorrono a generare un illusivo prolungamento del refettorio milanese. Si tratta di un paradigmatico artificio ottico-matematico amplificato dalla luce, proveniente dalle finte aperture di fondo - che inquadrano le trasparenze di un orizzonte collinare - e da una fonte esterna, forse esistente sulla parete sinistra della sala. La monumentalità delle figure, la collocazione sopraelevata, le lunette di coronamento imprimono alla scena accenti teatrali. L'opera, tra il 1982 e il 1999 è stata sottoposta a un complesso restauro.

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

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The Last Supper of Santa Maria delle Grazie marks a turning point in Lombard figurative culture of the time. The imposing mural was made in tempera and oil on two plaster levels, a choice dictated by the experimental obsession of the Vincean genius, antithetical to the Florentine, Northern fresco tradition. Distinguished by the heraldic emblems of Ludovico The Moor, Duke of Milan and commissioner of the project, the Last Supper was seemingly concluded on 8 September 1498, as annotated in the dedication to Sforza of De divina proportione by Luca Pacioli, Leonardo’s friend. Contemporaries could not miss the work's innovative charge, the first masterpiece of the “modern manner” in its composition, perspective-spatial resolution and chromatism, anticipating the achievements of Raphael and Michelangelo. Indeed, Giorgio Vasari, quoting Como historian Paolo Giovio, wrote that Francis I, from the Fointainbleau court, launched the proposal to saw down the mural and transfer it to France. The theme illustrated goes back to the institution of the Eucharist. Leonardo shows the moment in which Christ, alluding to his sacrifice, informs the stunned, amazed apostles flanking him, “One of you will betray me”. The emotive reactions triggered on receiving this news – gestures, actions, facial expressions – constitute the most exemplary figured transposition of Vincean theories on the “motions of the soul”, further underlined by the preference given to the harmonic distribution of those summoned in four groupings of three. A similar, rhythmic expedient enhances the drama of the whole, exalting the scenographic configuration of the space orchestrated by the artist: the tapestries with millefleurs motifs at the sides of the hall, a sort of daring prospective box; the windows behind; the floor framing; the horizontal extension of the full table: all these generate illusive lengthening of the Milanese refectory. This is a paradigmatic, optical-mathematical artifice amplified by light from the false background openings – squaring the waving transparencies of a side horizon – and an external front, maybe on the left wall of the room. The monumentality of the figures, the elevated collocations, the crowning lights impress on the theatrically presented scene. The work underwent a complex restoration (1982-1999).

Text by Maria Teresa Tancredi

 

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Flagellazione di CristoFlagellation of ChristFlagellation du Christ

Piero della FrancescaPiero della FrancescaPiero della Francesca

La firma “Opus Petri de Burgo Sancti Sepulcri”, che riferisce la paternità della tavola a Piero della Francesca, è l’unico dato certo di un’opera estremamente enigmatica che ha affascinato e intrigato studiosi di ogni sorta. Niente si sa della commissione o della destinazione originale del dipinto, registrato tuttavia in un inventario settecentesco dei beni del Duomo di Urbino. Danneggiato da tre lunghe fenditure orizzontali e da alcune cadute di colore, fu sottoposto già da Giovan Battista Cavalcaselle dopo il 1870 ad un complesso restauro, ma l’eccessiva pulitura rimosse la scritta "Convenerunt in unum", che non si trova più citata nelle fonti dopo il 1863. Nel 1916 l'opera venne definitivamente trasferita a Palazzo Ducale, da dove fu rubata il 6 febbraio del 1975 e poi recuperata a Locarno il 22 marzo dell'anno successivo.

In assenza di documenti, la datazione attribuita oscilla dal 1444 (Longhi) al 1472 (Battisti). Il carattere albertiano dell'architettura induce a collocarla dopo il 1447 (inizio del tempio Malatestiano), attorno al 1458-1459, subito dopo il viaggio dell’artista a Roma, ma vicina anche al grande ciclo affrescato a Arezzo per le connotazioni delle architetture e di talune fisionomie. La tavola raffigura la Flagellazione, una scena abbastanza comune nelle predelle o nei cicli della vita di Cristo, più rara da sola; è impostata tridimensionalmente secondo leggi geometrico-matematiche con l'uso del rapporto aureo nel proporzionare le due metà, in maniera non casuale ma anche con valenze allegorico-simboliche. Piero probabilmente si avvalse di uno sviluppo in pianta e in alzato del dipinto, come si era soliti fare per le costruzioni architettoniche reali. Le relazioni spaziali tra le figure generano quindi una simmetria non immediatamente percepibile e i due gruppi principali si appoggiano su due quadrati del pavimento di medesime dimensioni, che si controbilanciano. Il punto focale è il cerchio nero schiacciato in prospettiva sotto la figura di Cristo, inscritto in un quadrato - testimonianza matematica della sua natura divina - alludendo al problema della quadratura del cerchio, caro alla geometria antica, che Piero affrontò nel suo Libellus de quinque corporibus regularibus.

Tutti i tentativi di interpretazione si incentrano sul gruppo delle tre figure a destra, e in particolare sul giovane biondo dagli occhi sbarrati al centro, identificato per lungo tempo con Oddantonio, il fratellastro e predecessore di Federico da Montefeltro, ucciso appena diciassettenne in una congiura il 22 luglio 1444. Già Kenneth Clark, con ampio seguito di critica, aveva collegato l’opera alla caduta di Costantinopoli (1453) e alle sue conseguenze. Silvia Ronchey (2006) vi legge l’allusione al Concilio di Mantova del 1459, ricordato dalla frase Convenerunt in unum, promosso da Pio II per organizzare una crociata antiturca dietro suggerimento di Bessarione, il dotto bizantino che aprì il Concilio di Ferrara e Firenze del 1438-1439 per la riunificazione delle chiese orientale e occidentale. Cristo flagellato rappresenterebbe il sacrificio di Bisanzio, riconoscibile dalla colonna sormontata dalla statua di Costantino-Apollo-Heliòs che svettava nell'antico foro, nonché la sofferenza di tutti i cristiani per mano degli infedeli. Ponzio Pilato ha le sembianze dell'Imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo venuto in Italia per il concilio del 1439, effigiato, tra l’altro, in una splendida medaglia di Pisanello, che costituisce una sorta di modello, che nel 1453 non fece nulla per difendere la città martire. L’opera sarebbe stata quindi realizzata intorno al 1460-61. Le tre figure sulla destra rappresenterebbero Bessarione, Tommaso Paleologo fratello dell'Imperatore, con la veste porpora dell’imperatore bizantino ma scalzo perché esiliato, e Niccolò III d'Este. Per Carlo Ginzburg la figura di destra sarebbe Giovanni Bacci, committente degli affreschi di Arezzo, e il giovane Bonconte II da Montefeltro, amatissimo figlio naturale di Federico, legittimato nel 1458 e morto di peste alla fine di luglio del 1458.

Dalle radiografie si è scoperto che Piero dedicò particolare cura al turbante, disegnato a parte e poi riportato sulla base preparatoria tramite un piccolo cartone su cui eseguì lo spolvero, per garantire un’assoluta precisione. L’attenzione ai dettagli dimostra la cura estrema del pittore nella costruzione di una tavola che incanta non solo in virtù del messaggio che racchiude, ancora non definitivamente svelato, ma per il rigore compositivo, la luce zenitale straordinaria che varia i punti di vista, la purezza matematica delle proporzioni, il senso di perfezione assoluta.

Testo di Giovanna Lazzi

©Tutti i diritti riservati

The signature “Opus Petri de Burgo Sancti Sepulcri”, which refers authorship to Piero della Francesca, is the only certain fact in this extremely enigmatic work, which has fascinated and intrigued scholars of all kinds. Nothing is known of the commission or cause of this painting, though it was listed in an 18th-century inventary of Urbino Cathedral possessions. Damaged by three long, horizontal slits and several drops in colour, it was already subjected to complex restoration by Giovan Battista Cavalcaselle after 1870, but the excessive cleaning removed the text "Convenerunt in unum", which was not quoted in any source after 1863. In 1916 the work was definitively transferred to Palazzo Ducale, whence it was stolen on 6 February 1975; it was recovered at Locarno on 22 March of the following year. In the absence of documents, the dating attributed oscillates from 1444 (Longhi) to 1472 (Battisti). The Albertian characture of the achitecture leads to collocation after 1447 (start of the Malatesta Temple), around 1458-1459, immediately after the artist’s journey to Rome, but also near the great fresco cycle at Arezzo, due to connotations of architecture and certain facial features.

The panel portrays the Flagellation, quite a common scene in predellas or cycles of the Life of Christ, but rarer alone; it is set up three-dimensionally according to geometrical-matematical rules, using the gold relationship to proportion the two halves, in a way that is not casual but allegorically and symbolically relevant. Piero probably made use of plan and raised development for this painting, as he would usually do for royal architectural constructions. The spatial relationships between the figures thus generate symmetry that is not immediately apparent, and the two main groups rest on two average-sized floor squares, which balance each other. The main focus is the black, flattened circle in perspective below the figure of Christ, inscribed in a square, which mathematically testifies to its divine nature and alludes to the problem of squaring the circle, dear to ancient geometry, and considered by Piero in his Libellus de quinque corporibus regularibus.

All attempts at interpretation revolve around the group of three figures on the right, in particular the blond, wide-eyed youth in the centre, long identified as Oddantonio, stepbrother and predecessor of Federico da Montefeltro, killed at just seventeen in a conspiracy on 22 July 1444. Kenneth Clark already placed the work at the fall of Costantinople (1453) and its conseguences, and many critics followed him. Silvia Ronchey (2006) read an allusion to the Council of Mantova in 1459, recalled by the phrase Convenerunt in unum, promoted by Pius II to organise an anti-Turk crusade at the behest of Bessarion, the Byzantine scholar who opened the Council of Ferrara and Florence, 1438 - 1439, to reunify Eastern and Western churches. The flagellated Christ could represent the sacrifice of Byzantium, reconognisable from the column topped by the staue of Constantine-Apollo-Heliòs that rose in the ancient forum, as well as the suffering of all Christians at the hands of infidels. Pontius Pilate looks like the Byzantine Emperor John VIII Palaiologus, who came to Italy for the Council of 1439, portrayed in, amongst other things, a splendid medal of Pisanello, constituting a sort of model, who did nothing in 1453 to defend the martyr city. The work was, then, created around 1460-61. The three figures on the right are Bessarion, Thomas Palaiologus (the Emperor’s brother, in the Byzantine Emperor’s purple clothes, but barefoot due to exile), and Niccolò III d'Este. For Carlo Ginzburg the figure on the right is Giovanni Bacci, commissoner of the Arezzo frescoes, and young Bonconte II da Montefeltro, Federico’s adored natural son, made legitimate in 1458 and dying of the plague at the end of July 1458.

X-rays prove that Piero dedicated particular care to the turban, drawn separately and then brought back to its preparatory basis via a small cartoon which he then dusted off, to guarantee full precision. The attention to detail demonstrates the painter’s extreme care in constructing a panel that enchants both by virtue of its - still not definitively revealed - message, and due to its compositional rigour, the extraordinary Zenithal light that varies the viewpoints, the mathematcal purity of the proportions and the sense of absolute perfection.

Text by Giovanna Lazzi

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La signature “Opus Petri de Burgo Sancti Sepulcri”, qui atteste l’attribution de la tempera sur bois à Piero della Francesca, est le seul élément certain d’une œuvre extrêmement énigmatique qui a fasciné et intrigué les spécialistes de toute sorte. On ne sait rien de la commande ou de la destination originelle de la peinture, qui fut toutefois enregistrée dans un inventaire du XVIIIe siècle des biens du Duomo d’Urbino. En l’absence de documents, la datation oscille entre 1444 (Longhi) et 1472 (Battisti). 

La tempera sur bois représente la Flagellation, une scène assez commune dans les prédelles ou les cycles de la vie du Christ, mais qu’on trouve plus rarement seule. Cette scène est définie de manière tridimensionnelle selon des lois géométriques et mathématiques grâce à l’utilisation du ratio d’or dans la mise en proportion des deux moitiés, de manière non aléatoire, mais en ayant aussi recours à des valeurs allégoriques et symboliques. Piero della Francesca a probablement utilisé un développement en plan et en élévation de la peinture, comme c’était l’usage pour les constructions architecturales royales. Les relations spatiales entre les figures génèrent ainsi une symétrie qui n’est pas immédiatement perceptible et les deux groupes principaux reposent sur deux carrés du dallage de dimensions égales qui s’équilibrent. Le point focal est le cercle noir écrasé par la perspective sous la figure du Christ, inscrit dans un carré (témoignage mathématique de sa nature divine) en faisant allusion au problème de la quadrature du cercle, que Piero della Francesca affronta dans son “Libellus de quinque corporibus regularibus”.
Toutes les tentatives d’interprétation se concentrent sur le groupe des trois figures à droite, et en particulier sur le jeune homme blond aux yeux écarquillés qui en occupe le centre et qui a longtemps été identifié avec Oddantonio, le demi-frère et prédécesseur de Federico da Montefeltro, tué alors qu’il avait tout juste dix-sept ans dans une conjuration, le 22 juillet 1444. Kenneth Clark avait déjà relié cette œuvre à la chute de Constantinople (1453) et à ses conséquences, interprétation largement suivie par la critique. Les radiographies ont permis de découvrir que Piero della Francesca consacra un soin particulier au turban, dessiné à part puis reporté sur la base préparatoire à l’aide d’un petit carton sur lequel il effectua le dépoussiérage, pour garantir une précision absolue. L’attention aux détails démontre le soin extrême du peintre dans la construction d’une tempera sur bois qui émerveille, non seulement eu égard au message qu’elle renferme, et qui n’a pas encore été définitivement dévoilé, mais pour la rigueur de sa composition, la lumière zénithale extraordinaire qui diversifie les points de vue, la pureté mathématique de ses proportions, son sens de la perfection absolue.
 

Interprète de son temps, humanisant les faits sacrés tout en essayant de les comprendre, avec une liberté pleine d’audace, et après avoir éliminé les modes byzantins répétés pendant trop longtemps et jusqu’à l’épuisement, Giotto s'affirme comme un peintre « moderne » qui restera un point de référence non seulement pour le style, mais surtout pour l’interprétation, comme l’avait très justement souligné Cennino Cennini : « Il changea l’art de peindre du grec en latin, et en vint au moderne : il obtint l’art le plus accompli que personne n’eut jamais plu ».

Texte de Giovanna Lazzi 

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San Gerolamo che scriveSaint Jerome Writing

Michelangelo Merisi detto il CaravaggioMichelangelo Merisi known as CaravaggioMichelangelo Merisi dit Le Caravage

Ricordato dal Bellori, il San Gerolamo della Concattedrale di San Giovanni è forse il primo dipinto maltese del Caravaggio che ci sia pervenuto, comunque anteriore alla Decollazione del Battista. È concorde il giudizio dei critici moderni sulla sua autenticità.

Commento di Ferdinando Bologna 

APPROFONDIMENTO

L'opera fu realizzata a Malta, come testimonia Giovanni Pietro Bellori, poco prima della morte dell'artista, avvenuta nel 1610, che era fuggito da Roma dopo l'accusa di omicidio. Un'opera dell'esilio in cui l'intensità spirituale corrisponde ai tormenti interiori di Caravaggio ma anche alla volontà del committente conosciuto a Roma, quell' Ippolito Malaspina Marchese di Fosdinovo, alto funzionario dell'Ordine dei Cavalieri di Malta, che si voleva far riconoscere nell'ascetismo del Santo, nel cui volto è stato ritratto il Gran Maestro dell'Ordine di Malta Alof de Wignacourt, protettore dell'artista. Rubato nel 1984, il dipinto fu ritrovato quattro anni dopo e sottoposto ad un importante restauro per i forti danni subiti. A differenza delle altre due tele con lo stesso soggetto (Roma, Galleria Borghese di Roma e Museo dell'Abbazia di Montserrat in Catalogna) si nota nella solitudine della stanza disadorna e vuota come una cella, la presenza di elementi simbolici come un teschio, una candela spenta e un crocifisso che compongono una sorta di natura morta. Il grande cappello cardinalizio, tradizionale attributo del santo, ne ricorda il ruolo nella Chiesa. Caravaggio compone una scena di grande intensità psicologica, concentrando l'attenzione sul personaggio, isolato protagonista, con una sua grandiosità classica nell'ampio gesto del braccio, sfruttando i contrasti luministici, l'audace taglio compositivo, l'ambientazione ridotta a pochi tratti essenziali ma di grande efficacia. San Girolamo è intento a scrivere secondo un'iconografia collaudata che ricorda il suo ruolo fondamentale di traduttore della Bibbia dal greco al latino. Ma Caravaggio, anche nelle altre redazioni, non lo ambienta nello studiolo secondo il canone umanistico bensì nell'isolamento di una stanza spoglia, e lo rappresenta anziano, con il volto scavato e segnato delle rughe dell'asceta. Il busto nudo, ruotato in una audace torsione che lo offre completamente alla luce, si accende in virtù del riverbero del rosso del mantello panneggiato, quasi un ricordo degli antichi filosofi cinici, che si coprivano con il solo pallio per mostrare lo sprezzo delle cose materiali. Le sapienti variazioni cromatiche, la composizione per linee diagonali con un taglio da regista di teatro, rendono spettacolare e coinvolgente la potente spiritualità del santo. Fanno da contrappunto alla figura, plasmata dalla luce, gli oggetti carichi di riferimenti simbolici: la pietra allusiva alla penitenza eremitica, il teschio e la candela macabri avvertimenti di morte, il crocifisso, emblema della fede, posto il equilibrio quasi precario, sporgente dal tavolo come un punto di contatto con lo spettatore. La meditazione intensa di Girolamo, uomo di dottrina, di fede, di ascetica ricerca è quasi l'autobiografica messa in scena della propria necessità di trovare redenzione e sicurezza.

Testo di Giovanna Lazzi

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Remembered by Bellori, Saint Jerome in Saint John's Co-Cathedral may be Caravaggio's first Maltese painting to reach us. It certainly precedes The Beheading of John the Baptist, and modern critics unanimously agree that it is authentic.

Comment by Ferdinando Bologna

IN-DEPTH

"He painted Saint Jerome who, writing carefully, stretches his hand and pen to the inkwell": thus did Giovanni Pietro Bellori recall the canvas commissioned by Cardinal Scipione Borghese, copied, albeit with significant variations, in the version in the Church of St John at Valletta (Malta). Attribution of the work has been complex and controversial: it was mainly following the Milanese exhibition curated by Roberto Longhi in 1951 that critics recognised it as authentic, one of the last works made in the Roman period, and then placed alongside other famed works by the artist, such as The Madonna and Child with Saint Anne (Dei Palafrenieri) or The Calling of St Matthew (Rome, San Luigi de' Francesi). The austere father of the Church is a widely portrayed due to his translation of the Bible from Hebrew into Latin. Caravaggio depicts the saint as fully intent on his work, but almost devoured by the disquieting tension of his intellectual efforts, far from the reassuring calm of his desk as in the famed previous works by Antonello da Messina or Colantonio. In the artist’s dramatic interpretation, the ageing ascetic emerges from the absolute dark of the background, moulded by light that hovers mercilessly over the old man’s body, bringing out the wrinkles, the baldness and the white hairs of the beard, traced punctiliously one by one. The bowed head with its bright cranium corresponds to the skull evident on the table, significant "memento mori", a violent indicator of the transience of life, a very common element in still life, counterpointing the eternity of the Scriptures, witness to the word of God. The books are in turn dominant in this splendid piece of life and reality, lying on the table with the full weight of their dimensions and constituting a measure for Jerome, who interacts with the material through his outstretched arm, and inserts himself into the scene from the side, a major figure with his nude torso, recalling the iconography of the hermit ascetic but also of the ancient philosopher, yet balancing the inanimate elements. The gaudy, bright red of the cloak accentuates his figure, but directs and sets the scene, like the blinding white of the cloth cast casually onto the table and the open page. The light-imbued colour delimits space and time against the black background that lacks reference points, just as the most common iconographic attributes characterising the saint are absent: the Cardinal’s hat, the lion, or the rock in allusion to hermitic penance. The Church theologian lives in his intellectual but essentially sacred mission, yet remains a man, who cannot help but feel the weight of the fragility of being, recalled by the grim presence of the skull; he is old and so close to death, and is, like Saint Matthew, portrayed in the crudeness of his physical condition; but light wraps round him and it is that "moral light" of Caravaggio, who confers on Jerome remarkable plastic vigour, bringing out his religious and intellectual mission in the service of God’s grace, the sole guarantee for sinful man.  

Text by Giovanna Lazzi

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BaccoBacchusBacchus

Michelangelo Merisi detto il CaravaggioMichelangelo Merisi known as CaravaggioMichelangelo Merisi dit Le Caravage

Il Bacco degli Uffizi è concepito come un travestimento di un giovane, dei giorni di Caravaggio, nelle vesti allusive a ciò che caratterizza Bacco: i pampini d'uva e il vino. È la fresca rappresentazione di un pezzo di vita reale, non filtrata ma concentrata sulla bellezza dei colori dell'incarnato, che sono di una luminosità straordinariamente moderna: il grande panno d'argento, che costeggia l'incarnato, e, ancora una volta, l'evidenza dei brani di natura morta integrati con la rappresentazione di cristalli (la boccia di vino smezzata, che è occasione di lumeggiature specialissime, e il calice di vino dove si rispecchia l'immagine del personaggio).

Commento di Ferdinando Bologna

 

APPROFONDIMENTO:

Rinvenuta nei depositi degli Uffizi nel 1913 e attribuita al Caravaggio da Roberto Longhi, l’opera è da riferirsi all’attività ancora giovanile del pittore, quando, a Roma, si trovava sotto la protezione del cardinale Francesco Maria del Monte che donò il quadro a Ferdinando I de’ Medici in occasione delle nozze del figlio Cosimo II nel 1608.

Il dipinto appartiene alla fase detta “in chiaro” dell’artista, dove i celebri contrasti luministici non sono ancora accentuati. È tuttavia già evidente l’attenzione al mondo vegetale, in particolare la bellissima “natura morta” del canestro di frutta, quasi un brano a sé stante, e la coppa di vino, resa, come la brocca, nella leggerezza del vetro e nella densità del liquido. Pur nella sua freschezza la figura del giovane dio, in cui si riconosce un personaggio reale, forse lo stesso artista, parla una lingua classica sia nell’anatomia scultorea, nell’espressione languidamente offuscata dai fumi di una leggera ebbrezza, in cui si è ravvisata la vicinanza con volti sensuali come lo splendido Antinoo, sia nel richiamo alla visione oraziana fino al puro spirito dionisiaco della libertà dei sensi e della sfrenata vitalità. Ma Dioniso, con quella sua espressione quasi malinconica e assente, colpisce per la resa del corpo e del volto, con il rosso diffuso sulle guance paffute, il gesto reso quasi inconsapevole dall’ebbrezza, un naturalismo attento sulla stessa linea dello studio approfondito sulle cos: uomo e oggetti tradotti dal pennello come appaiono e come sono, nella realtà della vita e nell’attimo dell’accadimento. Il ragazzo del popolo dalle unghie sporche e poco curate diventa il modello per rappresentare un dio vitalissimo e sfrenato, la sua nudità prorompente è appena coperta da un panno lumeggiato d’oro degno di una divinità ma pretesto per uno studio accurato di panneggio. La canestra di frutta è già un brano di pittura di genere secondo una moda di rapida diffusione. Nella boccia di vino è stato individuato un autoritratto che potrebbe suffragare l’ipotesi che anche Bacco sia Caravaggio, dipinto con l’ausilio di uno specchio, il che spiegherebbe il calice sorretto con la mano sinistra. Si ritiene anche che invece si tratti dell’amico Mario Minniti, e che nella coppa di Dioniso si debba vedere il calice della redenzione, spostando l’interpretazione sul piano teologico, laddove anche il fiocco dovrebbe alludere all’unione tra Dio e l’uomo.

L’immagine del giovane Dio in preda ad una languida ebbrezza rimane comunque uno splendido brano di realtà, un’icona potente di una assoluta modernità.

Testo di Giovanna Lazzi

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The Bacchus of the Uffizi is conceived as the disguise of a young man, from Caravaggio’s days, in clothes allusive to Bacchus' distinctive features: vine leaves and wine. This is the fresh portrayal of a slice of real life, not filtered but concentrating on the beauty of the incarnate’s colours, which are of an extraordinarily modern luminosity. Observe also the great silver cloth, brushing the incarnated, and once more the highlighted still life motifs integrated with the portrayal of the crystals (the half-finished bowl of wine, which is the occasion for very special lighting, and the chalice of wine in which the character’s image is reflected).

Comment by Ferdinando Bologna

 

IN-DEPHT:

Found in the Uffizi storage areas in 1913 and attributed to Caravaggio by Roberto Longhi, the work should be included in the artist’s youthful period, when he was at Rome under the protection of Cardinal Francesco Maria del Monte, who gave the picture to Ferdinando I de’ Medici on the occasion of his son Cosimo II’s wedding in 1608. 

The painting belongs to the artist’s so-called “in chiaro” phase, where the renowned lighting contrasts are not yet emphasized. Yet attention to the vegetable world is already evident, in particular the beautiful “still life” of the fruit basket, almost a work in itself, and the wine cup, made, like jug, in the lightness of glass and density of the liquid. Even in his freshness, the young god – in whom a royal character and maybe the artist himself have been recognized – speaks the classical language in both his sculptural anatomy and his expression, languidly overshadowed by the fumes of tipsiness, recalling for some sensual faces such as the splendid Antinous, from its Horatian vision to the Bacchic spirit of the freedom of the senses and unbridled vitality. But Dionysus, with his almost melancholy, absent expression, strikes one with the rendering of his almost melancholy, absent expression, strikes one with the rendering of this face and body, with the red spread across his puffed cheeks, the gesture of drunkenness as if he were unaware, a naturalism attentive to the very lines of deep study of things: men and objects transferred by his brush as they appear and are , in the reality of life and moment of occurrence. The body of the people, his nails dirty and unkempt, becomes a model to show a virtual, unbridled god, his bursting nudity barely covered by a bright gold cloth worthy of a divinity but a pretext for accurate study of the material. The fruit basket its already a genre painting element in accordance with a rapidly spreading tradition. A self-portrait has been found in the wine bud, which may support the hypothesis that Bacchus is also Caravaggio, painted with the help of a mirror, which would explain the chalice held by the left hand; but it is also considered to be his friend Mario Minniti, and Dionysus’ cup displays the chalice of redemption, moving interpretation to a theological level, where the bow alludes to the union of God and man. 

The image of the young god prey to languid drunkenness is still splendid piece of reality, a powerful icon of absolute modernity. 

Text by Giovanna Lazzi

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Le Bacchus de la Galerie des Offices est conçu comme le déguisement d’un jeune homme, contemporain du Caravage, sous les apparences rappelant les attributs caractéristiques de Bacchus : les pampres de vigne et le vin. C’est la représentation pleine de fraîcheur d’une tranche de vie réelle, sans filtre mais concentrée sur la beauté des couleurs de la carnation, qui sont d’une luminosité d’un modernisme extraordinaire : le grand drap d’argent, qui longe la carnation, et encore une fois, l’évidence des fragments de nature morte que vient compléter la représentation des verreries (la carafe de vin à moitié pleine, qui est l’occasion de jeux de lumière très recherchés, et le calice de vin, dans lequel se reflète l’image du personnage).

Commentaire de Ferdinando Bologna

Amor sacro e Amor profanoSacred and Profane LoveAmour sacré et Amour profane

Tiziano VecellioTitianTitien

Lo stemma sulla fronte del sarcofago ha permesso di legare l'opera alle nozze avvenute nel maggio del 1514 tra il veneziano Niccolò Aurelio, segretario del Consiglio dei Dieci, e Laura Bagarotto. 

Il sarcofago classico, che funge da sedile alle due protagoniste, suggerisce immediatamente un ambito di committenza colto e raffinato, in grado di apprezzare complesse allegorie. 

Le due fanciulle sarebbero un'allusione alle due facce del matrimonio, la "castità" (pudicitia) della sfera pubblica, rappresentata dalla fanciulla seminuda, con il bruciaincenso fumante in mano, segno di elevazione spirituale; mentre la fanciulla vestita rappresenta la "sessualità" (voluptas) del rapporto privato. Questi due aspetti sono uniti come le acque che mescola il piccolo Eros. Le fanciulle sono raffigurate volutamente simili non solo nella fisionomia e in quei bellissimi capelli ramati, il cui colore è stato legato al nome del pittore, ma anche nelle vesti: l'abito bianco dell’una, da cui emerge una manica rossa accuratamente alla moda, richiama i colori del mantello e del panno che parzialmente cela la nudità dell’altra. 

Sullo sfondo, alle loro spalle, anche il paesaggio si contrappone: da un lato una città all'alba dall’altro un villaggio al tramonto.

Testo di Giovanna Lazzi 

 

APPROFONDIMENTO: 

Il dipinto attrae non solo per la straordinaria qualità ma anche per la difficoltà interpretativa in chiave simbolica; come molte opere rinascimentali deve esser considerato secondo varie chiavi di lettura.  

L’opera è stata letta anche in chiave neoplatonica, come rappresentazione della Venere terrena, incarnata nella fanciulla vestita simbolo dell’amore carnale, e la Venere Urania, l’amore spirituale e intellettuale capace di spingere l’uomo fino a Dio, rappresentata dalla giovane con il bruciaincenso fumante in mano, segno di elevazione spirituale.  

Nel quadro sono presenti anche allusioni al libro di Francesco Colonna: l’Hypnerotomachia Poliphili (ipnerotomàkia polìfili), letteralmente "Combattimento amoroso di Polifilo in sogno", un capolavoro del rinascimento, pervaso di colto erotismo, centrato sull’educazione “sentimentale” di un giovane, che ebbe enorme successo anche per le splendide illustrazioni dell’edizione veneziana di Manuzio del 1499. 

L'identificazione del committente e dell’occasione, supportata da prove documentarie, suffraga il tema matrimoniale, esplicitato anche in vari elementi, simboli di amore coniugale e di augurio di fecondità. 

Tiziano s’inserisce nella straordinaria stagione della pittura veneta in debito con l’arte di Giorgione, ma con una visione del tutto personale dove l’assoluta padronanza dell’uso del colore gli consente di scolpire panneggi, di delineare figure femminili sensuali ma classicamente possenti, di aprire paesaggi reali eppure quasi immersi in un’atmosfera da sogno.

Pervenne nelle collezioni Borghese probabilmente attraverso l'acquisto di sessantun dipinti del cardinal Paolo Emilio Sfondrati da parte di Scipione Borghese, nel 1608. Il titolo compare nell'inventario del 1693, assegnato arbitrariamente come molti altri.

Testo di Giovanna Lazzi

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The coat-of-arms on the front of the sarcophagus has allowed us to link the work with the wedding between Venetian Niccolò Aurelio, secretary of the Council of Ten, and Laura Bagarotto.

The classical sarcophagus, functioning as a seat for the two main characters, immediately suggests a cultured, refined commission field, able to understand complex allegories.

The two women could be an allusion to the two faces of matrimony, the "chastity" (pudicitia) of the public sphere, represented by the seminude girl with an incense-burner a sign of spiritual elevation; while the "sexuality" (voluptas) of the private is embodied in the dressed girl. These aspects are united like the waters mixed by little Eros. The intentional similarity of the portrayal applies to the physiognomy and the beautiful copper hair, whose colour was linked to the painter's name, but also to the clothing: one's white dress, whence a red, accurately fashionable sleeve emerges, recalls the colours of the cloak and cloth partially covering the other's nudity. 

In the background behind them, the landscape is also contrasted: on one side, a city at dawn; on the other, a village at dusk.

Text by Giovanna Lazzi

 

FIND OUT MORE: 

It probably came to the Borghese collection when Scipione Borghese purchased 71 paintings from Cardinal Paolo Emilio Sfondrato in 1608. The title appears in the 1693 inventory, assigned arbitrarily like many others. The attraction of the painting lies not only in its extraordinary quality, but also the difficulties in its symbolic interpretation; like many Renaissance works, it must be read in various ways. 

The work has been interpreted neo-Platonically, as the representation of Earthly Venus, represented by the dressed girl symbol of the carnal love, and Venus Uranus, spiritual and intellectual love, able to drive man to God, what is represented by the girl with an incense-burner a sign of spiritual elevation. 

The painting presents also a possible allusion to Francesco Colonna’s work: l’Hypnerotomachia Poliphili (ipnerotomàkia polìfili) litteraly Strife of Love in a Dream, a renaissance masterpiece pervaded by erotic worship, centred around the “sentimental” education of a youth, which enjoyed enormous success, not least for the splendid illustrations in the Venetian Manuzio edition of 1499. Identification of the commissioner and occasion, supported by document evidence, encourages the marriage theme, also made explicit in various elements, symbols of conjugal love and wishes for fecundity. Titian is part of the extraordinary season of Venetian painting, owing something to the art of Giorgione, but with a wholly personal vision, where total mastery of the use of colour allows the sculpture of drapery, the delineation of sensual but classically powerful female figures, the opening of landscape that is real or immersed in a dream atmosphere.

Text by Giovanna Lazzi

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Le blason sur la face avant du sarcophage a permis de relier l’œuvre aux noces qui se sont déroulées en mai 1514 entre le vénitien Niccolò Aurelio, secrétaire du Conseil des Dix, et Laura Bagarotto. Le sarcophage classique, qui sert de siège aux deux protagonistes, suggère immédiatement un champ de la commission cultivé et raffiné, permettant dapprécier des allégories complexes. Les deux belles enfants seraient une allusion aux deux faces du mariage, la « chasteté » (pudicitia) de la sphère publique, représentée par lenfant à moitié nue, le brûle-encens fumant en main, signe d’élévation spirituelle ; tandis que lenfant vêtue représente la « sexualité » (voluptas) du rapport privé. Ces deux aspects sont unis comme les eaux que mêle le petit Eros. Les enfants sont représentées de manière délibérément similaire non seulement dans la physionomie et les très beaux cheveux cuivrés, dont la couleur a été associée au nom du peintre, mais aussi dans les vêtements : la robe blanche de lune, doù émerge une manche rouge suivant scrupuleusement la mode, rappelle les couleurs du manteau et du drap qui voile partiellement la nudité de lautre. En arrière-plan dans leur dos, le paysage tranche lui aussi : dun côté, une ville à laube, de lautre, un village au couchant. Dans le tableau sont également présentes des allusions au livre de Francesco Colonna : lHypnerotomachia Poliphili, littéralement « Combat amoureux de Poliphile en rêve », un chef-d’œuvre de la Renaissance, traversé dun érotisme savant, centré sur l’éducation « sentimentale » dun jeune homme dont limmense succès tint également aux splendides illustrations de l’édition vénitienne dAlde Manuce en 1499. Lidentification du commanditaire et de loccasion, appuyée par des preuves documentées, étaye le thème du mariage, que lon trouve également explicité par de nombreux éléments, symbolisant lamour conjugal et le vœu de fécondité. Titien sinscrit dans lextraordinaire saison de la peinture vénitienne ayant une dette envers lart de Giorgione, mais avec une vision tout à fait personnelle où la maîtrise absolue de lutilisation de la couleur lui permet de sculpter les drapés, dessiner les personnages féminins sensuels mais classiquement puissants, ouvrir des paysages réels et pourtant presque plongés dans une atmosphère onirique. Il parvint dans les collections Borghèse probablement à travers lachat de soixante-et-un tableaux du cardinal Paolo Emilio Sfondrati par Scipion Borghèse, en 1608. Le titre apparaît dans linventaire de 1693, assigné de manière arbitraire comme beaucoup d’autres.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Dama con l'ermellinoLady with an ErmineLa Dame à l'hermine

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

L'identificazione della dama con Cecilia Gallerani, favorita di Ludovico il Sforza, detto il Moro, si basa su un sonetto del 1493 di Bernardo Bellincioni "Sopra il ritratto di Madonna Cecilia, qual fece Leonardo".

Di che ti adiri? A chi invidia hai Natura  / Al Vinci che ha ritratto una tua stella: Cecilia! sì bellissima oggi è quella / Che a suoi begli occhi el sol par ombra oscura. L'onore è tuo, sebben con sua pittura / La fa che par che ascolti e non favella: Pensa quanto sarà più viva e bella, / Più a te fia gloria in ogni età futura. Ringraziar dunque Ludovico or puoi / E l'ingegno e la man di Leonardo, Che a' posteri di te voglia far parte./ Chi lei vedrà così, benché sia tardo, Vederla viva, dirà: Basti a noi / Comprender or quel eh' è natura et arte.

Cecilia era figlia di Margherita de' Busti e Fazio Gallerani, famiglia di origini senesi che si rifugiò a Milano agli inizi del Quattrocento quando il nonno Sigerio Gallerani, giurista e ghibellino fuggì per il prevalere dei guelfi. Quando il padre di Cecilia morì, la famiglia, che aveva conquistato un ruolo importante presso la corte milanese, si venne a trovare in pesanti difficoltà, quindi l'istruzione della giovane venne probabilmente curata dalla madre che, figlia di studiosi, incoraggiò quel talento tanto lodato dai letterati dell'epoca. È databile intorno al 1490 la presenza ufficiale della giovane a corte. Ebbe un figlio da Ludovico il Moro, Cesare e ricevette in dono diversi immobili tra cui il Palazzo Carmagnola, dove grazie alla sua cultura personale e al suo amore per il sapere verrà istituito una sorta di cenacolo letterario e artistico. 

 

APPROFONDIMENTO

Il dipinto, che ebbe subito un notevole successo rinnovando profondamente l'ambiente artistico milanese, viene datato dopo il 1488, quando Ludovico il Moro ricevette il prestigioso titolo di cavaliere dell'Ordine dell'Ermellino dal re di Napoli. La scansione e analisi multispettrale delle immagini di Pascal Cotte consentono di verificare che la versione nota del dipinto rappresenterebbe il risultato finale di revisioni e rifacimenti come l’aggiunta di un esemplare della famiglia dei mustelidi, donnola o furetto, poi mutato in ermellino. La posa dell’animale è coerente con le note di Leonardo nel trattato De Pittura “ perché gli è necessario fare i lor moti (della testa) che mostrino vivacità desta, e non addormentata”.

L’abbigliamento è molto curato, ma non eccessivamente sfarzoso, per l'assenza di gioielli, a parte la lunga collana di granati, simbolo di amore fedele, forse un dono di Ludovico il Moro, interpretati anche come onice o corallo o addirittura grani “finti” contenenti profumi. Sulla “camora”, tagliata in vita con gonna ampia e scollatura decorata con motivi ad intreccio detti “groppi” o “vincji”,  in quanto ricorrenti nei disegni di Leonardo,  la giovane porta la “sbernia”,  il mantello indossato asimmetricamente sopra una spalla, di raso turchino foderata in zendale “leonato”, fulvo come il leone, “alla spagnola”,  secondo una moda lanciata alla corte aragonese di Napoli e introdotta a Milano da Isabella d’Aragona, sposa di Gian Galeazzo Sforza. I vistosi fiocchi neri sono frutto di ritocchi successivi. Le maniche sono di due colori diversi, adornate da nastri che potevano essere sciolti per sostituirle. Una cuffia di velo con l’orlo ricamato trattenuta da una “lenza“, serra i capelli pettinati ancora “alla spagnola“, lisci, divisi da una riga centrale, con due bande aderenti al volto raccolte sul retro da una coda (“coazzone” in milanese), infilata nel “trenzado”, una guaina che serviva per trattenere e intrecciare i capelli, con la ciocca sotto il mento in obbedienza alla nuova moda spagnola ma rivisitata al gusto lombardo. Cecilia già con l’arrivo di Isabella pare avesse adottato le fogge alla catalana come nota il corrispondente estense Giacomo Trotti: «Questa duchessa (Isabella) l’ha vestita alla catalana e la tene in palma di mano», dunque prima del 1491 quando la loro adozione in area milanese con l’ingresso di Beatrice d’Este diventa una vera e propria moda.

Lo sfondo è scuro (ma lo era molto meno prima di un restauro del XIX secolo) e dall'analisi ai raggi X emerge che dietro la spalla sinistra della dama era originariamente dipinta una finestra. Lo schema del ritratto quattrocentesco, a mezzo busto e di tre quarti, viene superato da Leonardo con una duplice rotazione, il busto rivolto a sinistra e la testa a destra, come se Cecilia stesse osservando qualcuno che entra  nella stanza.  Grande risalto è dato alla mano con le dita lunghe e affusolate che rivelano una attenta analisi anatomica, oltre che una sottile ma profonda nota psicologica del personaggio. 

Testo di Giovanna Lazzi

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The girl’s identification with Cecilia Gallerani is based on a sonnet (1493) by Bernardo Bellincioni "On the Portrait of Madonna Cecilia, which Leonardo made".

Nature, what provokes you, who arouses your envy?/ It is Vinci, who has painted one of your stars!/ Cecilia, today so very beautiful, is the one/ Beside whose beautiful eyes the sun appears as a dark shadow./ The poet: The honour is yours [Nature], even if in his picture/ She seems to listen and not converse./ Think only, the more alive and beautiful she is, The greater will be your glory every future era./ Give thanks therefore to Ludovico, or rather/ To the supreme talent and hand of Leonardo,/ Which allows you to partake in posterity./ Everyone who sees her thus - even later,/ Seeing her alive - will say, that this is enough for us/ To understand what is nature and what is art./

As an exchange of letters from 1498 attests, Isabella d’Este, wife of Francesco Gonzaga, Lord of Mantua, borrowed the work, and then commissioned from Leonardo a portrait, a cartoon of which remains (Cabinet des Dessins du Louvre). Cecilia was the daughter of Margherita de' Busti and Fazio Gallerani, a family of Siena origins who took refuge in Milan in the early 1400s, when the grandfather Sigerio Gallerani, jurist and Ghibelline, fled to prevail over Guelphs. When Cecilia’s father died, the family, who had won an important role at the ducal court, found itself in great difficulty, so the girl’s education was probably entrusted to her mother, a daughter of scholars who encouraged the talent so praised by the literati of the period. The young lady’s official presence at court can be dated around 1490. She had a son by Ludovico il Moro, Cesare, and was given various estates, including Palazzo Carmagnola, where her personal culture and love for knowledge took her into a sort of literary and artistic coterie. 

 

IN-DEPHT 

The painting was an immediate success, greatly renewing Milan’s artistic milieu, and it is dated after 1488, when the King of Naples gave Ludovico il Moro the prestigious title of Knight of the Order of the Ermine. Multi-spectral scansion and analysis of Pascal Cotte’s images have verified that the known version of the painting is the final result of revisions and reworking, such as adding a specimen of the mustelid family, a weasel or ferret, later changed into an ermine. The animal’s pose is coherent with Leonardo’s notes in his tract De Pittura “because it is necessary to make their (head) movements so as to show wakeful, not sleeping, liveliness. The clothing, too, is very neat, but not excessively lavish, as it lacks jewels, apart from the long necklace of grain, a symbol of faithful love, perhaps a gift from Ludovico il Moro, also interpreted as onyx, coral or even ‘fake’ wheat containing perfumes. On the “camora”, cut at the waist, and the neckline, decorated with woven motifs called “groppi” or “vincji”, as they recur in Leonardo’s drawings, the young lady wears the “sbernia”, the coat placed asymmetrically over one shoulder, in turquoise satin lined in “leonato” frills, tawny like a lion, “alla spagnola”, in line with a fashion set by the Aragon Court of Naples and introduced to Milan by Isabella d’Aragona, bride of Gian Galeazzo Sforza in February 1489. The showy black lace is the result of later finishing. The sleeves are two different colours and adorned with bows that could be untied to be substituted. A veil headpiece with its embroidered hem, held in by a “lenza”, clasps the hair, also “alla spagnola”, smooth, divided by a centre parting, with two bands sticking to the face, gathered behind in a tail (“coazzone” in Milanese), drawn into a “trenzado”,  a braid used to hold back and plait the hair, the lock under the chin following the new Spanish style, but revisited in the Lombard taste. Even on Isabella’s arrival, Cecilia seems to have adopted the Catalan style, as the Este correspondent Giacomo Trotti notes: «The Duchess Isabella has dressed her in the Catalan mode and carry her in the palm of her hand», so before 1491, when its introduction to the Milanese milieu with the entrance of Beatrice d’Este becomes out-and-out fashion. The background is dark (but it was far more so before restoration in the XIX century) and X-ray analysis shows that a window had originally been painted behind the lady’s left shoulder. Leonardo goes beyond the 1400’s portrait scheme of half bust in three quarters by using a double rotation, turning the bust to the left and the head to the right, as if Cecilia were observing someone entering the room, and the body movement investigates the feelings of the soul. Emphasis is given to the hand, with its long, sleek fingers revealing accurate anatomic analysis, as well as subtle but deep psychological study of character. 

Text by Giovanna Lazzi

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Lidentification de la dame avec Cecilia Gallerani, favorite de Ludovic Sforza, dit le More, repose sur un sonnet de 1493 de Bernardo Bellincioni "Sur le portrait de Madone Cecilia tel quil fut réalisé par Léonard de Vinci. Cecilia était la fille de Margherita de' Busti et Fazio Gallerani, une famille originaire de Sienne qui se réfugia à Milan au début du XVème siècle lorsque le grand-père Sigerio Gallerino, juriste et gibelin, prit la fuite suite à la domination des guelfes. Quand le père de Cecilia mourut, la famille, qui avait conquis un rôle important auprès de la cour de Milan, se trouva dans de grandes difficultés et linstruction de la jeune fille fut probablement assurée par la mère qui, fille de savants, encouragea ce talent que les hommes de lettres de l’époque louaient tant. La présence officielle de la jeune fille à la cour remonte aux environs de 1490. Elle eut un fils de Ludovic le More, Cesare, et reçut en don différents biens dont le palais Carmagnola, où grâce à sa culture personnelle et à son amour pour le savoir sera institué une sorte de cénacle littéraire et artistique.

Texte de Giovanna Lazzi 

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La buona venturaFortune Teller

Michelangelo Merisi detto il CaravaggioMichelangelo Merisi known as CaravaggioMichelangelo Merisi dit Le Caravage

L'intento centrale del Caravaggio giovane è quello di cogliere momenti di vita vissuta nell'attimo saliente in cui si manifesta. La zingara che legge la buona ventura al giovane, nel momento in cui lo inganna sfilandogli l'anello, è uno dei pezzi esemplari di questa linea interpretativa della realtà. Un momento esemplare che però non parve tale ai suoi contemporanei. Il cardinale Federico Borromeo, per esempio, citando specificamente questo soggetto delle zingare che leggono la buona ventura, parla di soggetti spregevoli indegni di un pittore di alto livello.

Caravaggio non fu solito replicare i suoi dipinti: quando lo fece, apportò varianti importanti, che determinavano il quadro in un nuovo assetto, come di un’opera tutta nuova.

Quest’opera si differenzia dal quadro conservato al museo del Louvre nell'età dei personaggi, che appaiono leggermente più invecchiati. Oggi gli studi concordono nel considerare la Buona Ventura dei Musei Capitolini, databile intorno al 1594-95, il prototipo delle numerose derivazioni di questo soggetto, a partire da quella realizzata qualche anno dopo da Caravaggio e oggi al Louvre.

Per approfondire: Sergio Guarino, La Buona Ventura, in Caravaggio. Opere a Roma. Tecnica e Stile, Silvana Editoriale, 2016

Commento di Ferdinando Bologna

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The young Caravaggio’s central intent was to capture moments of life lived at the salient instant in which it manifests itself. The gypsy telling the young man’s fortune at the moment she deceives him by removing his ring is one of the exemplary pieces of this way to interpret reality.

However, it did not seem so to his contemporaries. For example, Cardinal Federico Borromeo, specifically quoting this subject of the fortune-telling gypsy, spoke of abject topics unworthy of a high-level painter.

Caravaggio did not usually repeat his paintings: when he did, he introduced important variations, giving the picture another arrangement, like a completely new work.

This painting differs from the one conserved at the Louvre in the age of its characters, who seem slightly older. Studies today concur in considering the Capitoline Museum Fortune Teller, datable to around 1594-95, the prototype of numerous derivations of the subject, starting from the one Caravaggio made several years later, now in the Louvre.

For further study: Sergio Guarino, Fortune Teller, in Caravaggio. Opere a Roma. Tecnica e Stile, Silvana Editoriale, 2016

Comment by Ferdinando Bologna

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Belle FerronnièreBelle Ferronnière

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Il dibattito sul riconoscimento del personaggio ritratto è ancora in corso, spesso collegato ai versi di un componimento poetico (Milano, Biblioteca Ambrosiana, codice Atlantico), attribuito ad Antonio Tebaldeo, allusivi a un ritratto di Lucrezia Crivelli eseguito dal genio toscano durante il soggiorno del 1483-99 nella Milano di Ludovico Sforza. Protettore dell’artista, il Moro intrattiene con la Crivelli una relazione amorosa coronata dalla nascita di un figlio. Nel consapevole riserbo della figura, accentuato dal nero di fondo e dal magnetico sguardo fisso verso l’esterno, il dipinto testimonia l’incalzante affermazione dell’innovativa concezione impressa da Leonardo al genere ritrattistico, incentrata sulla preminenza accordata alla scoperta vinciana dei “moti dell'animo”.

 Testo di Maria Teresa Tancredi

 

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APPROFONDIMENTO

La denominazione con cui il dipinto è universalmente noto - letteralmente "la bella moglie di un mercante di ferramenta" - è dovuta a un errore di catalogazione del tardo XVIII secolo: "Ferronnière" si riferisce infatti al nastro che le cinge la fronte, che prese il nome da Madame Ferron, amante di Francesco I di Francia chiamata in Italia "lenza", con un piccolo rubino al centro, perfettamente intonato alla tonalità accesa ma raffinata dell'abito, che si riverbera nel colorito del volto, incorniciato dai capelli lisciati e raccolti poi in una lunga treccia.

I dettagli dell'abbigliamento, resi con grande cura, mostrano l'attenzione alla moda nelle maniche staccabili che danno vita al gioco degli sbuffi della camicia. La torsione del busto mette in evidenza la testa che si volge invece frontalmente con lo sguardo penetrante ma distaccato, e quel tanto di enigmatico che si coglie nei ritratti leonardeschi, dove l'intensa introspezione psicologica, l'attenzione ai "moti dell'animo", isola tuttavia la figura in una sfera inaccessibile. 

 Testo di Giovanna Lazzi

 

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The debate to identify the lady portrayed is still ongoing, and often linked to the verses of a poetic composition (Milan, Biblioteca Ambrosiana, Atlantic code), attributed to Antonio Tebaldeo, alluding to a portrait of Lucrezia Crivelli by the Tuscan genius during his stay in Ludovico Sforza's Milan from 1483 to 1499. Patron of the artist, The Moor enjoyed an amorous relationship with Crivelli, culminating in the birth of a son. In the figure's conscious reserve, heightened by the black background and her magnetic stare outwards, the painting testifies the compelling affirmation of Leonardo's innovative conception of the portrait genre, centred on pre-eminence accorded to the Vincean discovery of “motions of the soul”.

Text by Maria Teresa Tancredi

 

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The name by which the painting is universally known (literally "the beautiful wife an iron merchant") derives from a cataloguing error in the late XVIII century: "Ferronnière" actually refers to the bow around her brow, which took its name from Madame Ferron, the lover of Francis I, King of France. Called "lenza" in Italian, it has a small ruby in the centre, in perfect tune with the bright but refined tones of the dress, reverberating in the flush of the face, framed by hair that has been smoothed and gathered into a long braid.

The details of the clothing, rendered with great care, show attention to fashion in the detachable sleeves which enliven the puff of the blouse. The twist of the bust highlights the head, which rather turns frontally, its gaze piercing but distant, with that enigmatic quality found in Leonardesque portraits, where the intense psychological introspection, attentive to the "movements of the soul", isolates the figure in an inacessible sphere.

Text by Giovanna Lazzi

 

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Testa di fanciulla Portrait of a Girl

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Il disegno, ritenuto da Bernard Berenson «il più bello del mondo», è probabilmente uno studio preparatorio per la splendida creatura angelica che si volge verso lo spettatore nella Vergine delle rocce (Parigi, Louvre). Databile intorno agli anni 1483 - 1485, il volto, indubbiamente femminile, enfatizza la asessuata bellezza dell’entità soprannaturale del celebre dipinto. Nella “modella” si è voluto identificare Cecilia Gallerani, la giovane amante di Ludovico Sforza, riconosciuta anche nella Dama con l'ermellino. La sua espressiva naturalezza fa sospettare un ritratto eseguito dal vero, un «ritratto di spalla» come lo definì Carlo Pedretti (1979), per la posa perentoria, di scorcio, che enfatizza i tratti del volto accuratamente delineati, di contro ai capelli e alla veste sommariamente tracciati, più evocativi che realistici. L’attenzione dell’artista si è concentrata sulla linea dritta del naso,  sul leggero incresparsi della bocca e soprattutto sulla profondità dello sguardo, che pare fissarsi sullo spettatore e accompagnarlo verso una visione improvvisa che ha costretto la fanciulla a voltarsi. Anche in questa figura si avverte quel che di enigmatico e sfuggente che costituisce uno dei motivi del fascino dell’arte di Leonardo.

Testo di Giovanna Lazzi

 

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This drawing, which Bernard Berenson considered «the most beautiful in the world», is probably a preparatory study for the splendid angelic creature turning to the viewer in Virgin of the Rocks (Paris, Louvre). Datable to around 1483 - 1485, the doubtlessly female face emphasises the asexual beauty of the supernatural entity of the famed picture. Some have identified the “model” as Cecilia Gallerani, Ludovico Sforza's young lover, also recognised in Lady with an Ermine. Her expressive naturalness evokes a real-life portrait, a «head-and-shoulder portrait» as Carlo Pedretti defined it (1979), due to the peremptory, glimpsed pose, emphasising the accurately delineated facial features, as against the hair and summarily traced clothes, more evocative than realistic. The artist focussed on the direct line of the nose and the slight pout of the mouth, but mostly on the depth of the gaze, which seems to stare at the viewer and accompany him to a sudden vision which forced the girl to turn around. This figure also holds the enigmatic, elusive quality that is one of the most fascinating parts of Leonardo's art.

Text by Giovanna Lazzi

 

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Ritratto di Ginevra de' BenciPortrait of Ginevra de' BenciPortrait de Ginevra de' Benci

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

L’opera rappresenta l’esordio dell’artista nel genere del ritratto e risale al tratto al periodo finale della permanenza di Leonardo nella bottega di Andrea del Verrocchio. La fissità del volto e del busto della malinconica dama, indagati in modo analitico ricorrendo alla tecnica fiamminga, contrasta con la resa atmosferica del paesaggio a destra. Ancora incerte sono le ragioni della commissione del dipinto, forse richiesto per le nozze di Ginevra Benci con Luigi di Bernardo di Lapo Niccolini. Lo farebbero credere i rami di ginepro sulla sinistra, simbolo di castità e amore coniugale. La critica ha però anche suggerito di riconoscere il committente del quadro in Bernardo Bembo, ambasciatore a Firenze per conto della Repubblica di Venezia, legato alla Benci da platonici sentimenti amorosi.

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

APPROFONDIMENTO

“Ritrasse la Ginevra d'Amerigo Benci cosa bellissima" scrissero il Vasari e l’Anonimo Gaddiano “, la quale tanto bene finì che non il ritratto ma la propria Ginevra pareva”.

Richiamano al nome della giovane, in una chiara assonanza, le fronde sempreverdi di ginepro che circondano, come un’aureola, il volto intenso. Sul verso un nastro avvolto alla ghirlanda reca l’iscrizione VIRTUTEM FORMA DECORAT (La bellezza adorna la virtù). Le fronde che attorniano il rametto di ginepro possono alludere alle virtù della fanciulla e al suo talento poetico ma comparivano anche nello stemma di Bernardo Bembo, utilizzato come segno di possesso nei suoi manoscritti, dove compare il motto VIRTUS ET HONOR, scoperto anche nella tavola mediante esami ai raggi infrarossi condotti dalla National Gallery. Si avvalora così l’ipotesi che alle vicende del ritratto non sia estranea la figura del poeta e umanista veneziano Bernardo Bembo, ambasciatore a Firenze per conto della Repubblica di Venezia, legato alla Benci da un fitta corrispondenza se non da sentimenti amorosi. Aggiungendo la parola iuniperus (ginepro) a queste lettere e anagrammando il motto come in una “macchina alfabetica” si ottiene VINCI PERITUS AUDET FORMARE TORUM, (L’esperto Vinci osa formare il giro di nastro alla ghirlanda).

L'acconciatura è tipica delle giovani fiorentine nell'ultimo quarto del Quattrocento, con i capelli raccolti sulla nuca lasciando liberi piccoli ricci intorno al volto, come Giovanna Tornabuoni negli affreschi del Ghirlandaio nella cappella maggiore di Santa Maria Novella, tanto che il Vasari scambiò l’identificazione delle due fanciulle. Al colore dei capelli si intona quello dell’abito e persino lo sfondo del paesaggio dove tornano gli elementi cari al pittore: specchi d'acqua, campanili e torri appuntite, montagne che si stemperano nei toni azzurrini dello sfondo secondo le regole della prospettiva, con la ricchezza dei dettagli alla fiamminga.  Per creare l’effetto di un incarnato quasi vivo, Leonardo distribuì il colore sul volto usando anche le dita. Ginevra indossa una veste chiusa da lacci di foggia comune anche se arricchita da un gallone dorato con un velo a mostra che chiude la scollatura. L’abbigliamento senza sfoggi particolari sembra calare la fanciulla nella quotidianità. Attraverso l’espressione intensa degli occhi allungati e seri senza sorriso, decisi e intelligenti, si mette in evidenza non solo l’aspetto esteriore ma anche il carattere. La sfericità del volto che fora lo spazio e si impone nella sua forma geometrica riprende la tradizione tanto cara a artisti rigorosi come Piero della Francesca o il Laurana. Ma la volumetria quasi tridimensionale non annulla la personalità tanto lo sguardo è penetrante mentre la piega ferma delle labbra denota una fermezza d’animo che tuttavia non poteva bastare ad annullare le convenzioni sociali, che imponevano ad una donna, specie se di rango, di piegarsi alle decisioni della famiglia soprattutto riguardo al suo matrimonio. Nonostante che la Benci sia stata ricordata anche da Lorenzo il Magnifico come una delle donne più colte della società fiorentina, il suo destino era comunque segnato.

Già in questo splendido e precoce ritratto l’artista vuole “isprimere con l’atto la passione dell’anima sua”, avvalorando la convinzione che anche se i movimenti del corpo avvengono per processi meccanici, che aveva studiato con tenace acribia, la loro origine è nell’anima, la cui natura non è meccanica ma spirituale. Il dipinto venne decurtato di almeno un terzo nella parte inferiore, tagliando così le mani, che dovevano giocare un ruolo importante come nei più famosi ritratti di Leonardo e nella Dama con il mazzolino di Verrocchio (Firenze, Bargello), e come sembra testimoniare uno studio conservato nella Royal Library del Castello di Windsor.

Testo di Giovanna Lazzi 

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This work can be dated towards the end of Leonardo’s stay in Andrea Verrocchio's workshop, and marks the artist’s début in the portrait genre. The steadiness in the melancholic lady’s face and bust, analytically investigated with recourse to the Fleming technique, contrasts the atmospheric rendering of the countryside to the right. The reasons for the painting’s commission remain unknown, but it may have requested for Ginevra Benci's wedding to Luigi di Bernardo di Lapo Niccolini, considering the juniper twigs on the left, symbolising chastity and conjugal love. However, critics have also suggested the work was ordered by Bernardo Bembo, ambassador in Florence for the Republic of Venice and linked to Benci by feelings of Platonic love. 

Text by Maria Teresa Tancredi

 

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 “He made a portrait of Ginevra d'Amerigo Benci, a beautiful work,” wrote Vasari and the Anonymous Gaddiano, “which was so well completed that it seemed not a portrait but Ginevra herself.” Various letters attest to the relationship between Leonardo and the rich banker Amerigo Benci, whose daughter Ginevra married Luigi di Bernardo di Lapo Niccolini in 1474, and the panel is said to have been painted for that occasion. The young lady’s name is alluded to through the clear assonance of the evergreen juniper leaves that surround her intense countenance like a halo. On the back, a bow wrapped round the garland bears the inscription VIRTUTEM FORMA DECORAT (Beauty adorns virtue); the foliage around the juniper branch may refer to the youth’s virtue and poetic talent, but it also appeared in Bernardo Bembo’s coat of arms, used as a sign of possession in his manuscripts, like the one at the hand of Bartolomeo Sanvito in a poem by Paolo Marsi, which includes the motto VIRTUS ET HONOR, also discovered in this panel through infrared ray exams performed by the National Gallery. This supports the hypothesis that the portrait’s history also involves the Venetian poet and humanist Bernardo Bembo, ambassador at Florence on behalf of the Republic of Venice, linked to Benci by copious correspondence and perhaps love. Adding the word iuniperus (juniper) to these letters and making the motto an anagram as in an “encyphered code” reveals VINCI PERITUS AUDET FORMARE TORUM (The expert Vinci dares to form the twist of the garland bow. The coiffure is typical of Florentine youths from the final quarter of the 1400’s, the hair gathered at the nape to leave small, free curls around the face, like Giovanna Tornabuoni in frescos by Ghirlandaio in the greater chapel of Santa Maria Novella, so much so that Vasari confused the identification of the two young women. The colour of the hair matches that of the dress and even the landscape background, where elements dear to the painter recur: water reflections, bell and pointed towers, mountains spreading into the pale blue background in accordance with the rules of perspective, with Fleming-style richness of detail. To create the effect of almost living pink, Leonardo distributed the colour over the face with his fingers. Ginevra wears a closed, lace-like dress that is common but enriched by a gold braid with a lapel veil to close the neckline. The far-from-showy clothing seems to locate the lady in everyday life, almost to stress not only her exterior appearance but rather her character. The sphericity of the face, which pierces the space and imposes itself in its geometric form, so dear to such rigorous artists as Piero della Francesca or Laurana. But the gaze is so penetrating that the almost three-dimensional volumetry does not cancel out her personality, while the firm curl of the lips denotes a resoluteness of heart which could not suffice to annul the social conventions which made a woman, especially a high-ranking one, bend to family decisions, particularly in marriage. Although Benci is even remembered by Lorenzo il Magnifico as one of the most cultured ladies in Florentine society, her destiny was sealed. Even in this splendid, precocious portrait, the artist wishes to “express the passion of his soul in deed”, confirming the conviction that body movements may occur through specific mechanisms, which he had studied with tenacious precision, but they originate from the soul, which is not mechanical but spiritual in nature. The painting was shortened by at least a third in its lower part, cutting the hands, which were to play a significant part, as in Leonardo’s more famous portraits and Verrocchio’s Woman with Flowers (Florence, Bargello), and as a study conserved in Windsor Castle Royal Library seems to testify. 

Text by Giovanna Lazzi

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L’œuvre représente les débuts de lartiste dans le genre du portrait et remonte à la période finale du séjour de Léonard de Vinci dans latelier dAndrea del Verrocchio. La fixité du visage et du buste de la dame mélancolique, quil questionne de manière analytique en ayant recours à la technique flamande, contraste avec le rendu atmosphérique du paysage à droite. Encore incertaines sont les raisons pour lesquelles ce tableau lui fut commissionné, peut-être demandé pour les noces de Ginevra Benci avec Luigi di Bernardo di Lappo Niccolini.  Cest ce que tendent à faire penser les branches de genévrier sur la gauche, symbole de chasteté et damour conjugal. La critique a cependant suggéré également de reconnaître le commanditaire en la personne de Bernardo Bembo, ambassadeur à Florence pour le compte de la république de Venise et que des sentiments dun amour platonique liaient à Ginevra Benci.

Texte de Maria Teresa Tancredi

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ScapiliataScapiliata

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Realizzato con terra ombra e ambra inverdita su tavola di pioppo preparata a biacca, l’abbozzo di questa suggestiva testa femminile confluisce nelle collezioni della Galleria Palatina di Parma durante il 1839, recando la corretta ascrizione vinciana. Nel Cinquecento potrebbe essere appertenuto a Margherita Paleologa, moglie di Federico II Gonzaga. In un inventario gonzaghesco del 1627 è così indicato: «un quadro dipintovi la testa di una donna, scapigliata, bozzata… opera di Leonardo da Vinci». Evidenti le assonanze stilistiche e le similarità fisionomiche con l’angelo nella seconda versione della Vergine delle Rocce alla National Gallery di Londra.

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

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APPROFONDIMENTO

Il chiaroscuro steso con forti lumeggiature esalta il rilievo scultoreo del volto che prende vita dalla vibrante massa dei capelli, scomposta ad arte in ricci mossi, quasi la testa di uno dei venti ai margini delle grandi carte del mondo. La posa e l'intensità psicologica piaceranno a molti pittori, come Bernardino Luini che la ripropone nella Salomè con la testa del Battista.

Il volto reclinato, gli occhi abbassati, la dolcezza dell'ovale sono elementi noti alla pittura fiorentina, terreno di formazione di Leonardo, ma in particolare il tema dei capelli, che tanto era piaciuto alla letteratura manualistica dedita a individuare le componenti della perfetta bellezza femminile, trova una base teorica nelle raccomandazioni dell'Alberti che sembrano seguite alla lettera "Quanto certo a me piace ne' capelli vedere quale io dissi sette movimenti: volgansi in uno giro quasi volendo anodarsi, e ondeggino in aria simile alle fiamme; parte quasi come serpe si tessano fra gli altri, parte crescendo in qua e parte in là." Il naso leggermente pronunciato e le labbra appena imbronciate in un abbozzato sorriso permettono, però, alla fanciulla di uscire dall'anonimato di una perfezione da manuale e di diventare immediata, viva e moderna, fissata in quell'istante in cui un colpo di vento le scompiglia i ricci.  

Testo di Giovanna Lazzi

 

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Made in umber and green amber on poplar wood prepared with white lead, the sketch of this evocative female head entered the Parma Galleria Palatina collection in 1839, correctly ascribed to Leonardo. In the 1500’s it may have belonged to Margherita Paleologa, wife of Federico II Gonzaga. A 1627 inventory of the Gonzaga family describes it thus: «a painting with the head of a woman, windblown, sketched… work of Leonardo da Vinci». Stylistic and physiognomic similarities to the angel in the second version of the Virgin of the Rocks, at the National Gallery in London, are evident. 

Text by Maria Teresa Tancredi

 

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The chiaroscuro, rendered with strong lighting, brings out the sculptural relief of the face, which comes alive with its vibrant mass of hair, intentionally dishevelled into wavy locks, almost the head of a one of the winds at the edge of the great world maps. The pose and psychological intensity pleased many painters, such as Bernardino Luini, who reused it in the Salomè with the Head of the Baptist. The reclined face, the lowered eyes, the sweetness of the oval are all elements known to Florentine painting, Leonardo’s training ground, but in particular the theme of hair, so dear to manual literature dedicated to defining the components of perfect feminine beauty, finds a theoretical basis in the recommendations of Alberti, which seem to follow to the letter: "In hair, how I like to see what I called seven movements: rotating in a turn, almost to knot itself; waving in the air like flames; a part almost as a serpent, weaving among others, a part climaxing here, another part there". But the slightly pronounced nose and the mouth, just pouting into the hint of a smile,  take the maiden out of the anonymity of textbook perfection so she becomes immediate, alive and modern, fixed at that instant in which a burst of wind ruffles her hair, and she remains there forever. 

Text by Giovanna Lazzi

 

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